mattarella e gentiloni
1 - L' EX PREMIER E IL VOTO ANTICIPATO: ANCHE SENZA CAMBIARE LE REGOLE
Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera”
«Io volevo cambiare il sistema elettorale, ma non ce l' ho fatta»: Matteo Renzi spiega così il motivo per cui non ha intenzione alcuna di perdersi nelle trattative per la riforma elettorale. Nemmeno dopo che sarà eletto segretario del Pd. «Se i grillini vogliono fare sul serio, lo dimostrino, noi siamo pronti a confrontarci, lo abbiamo già detto, siamo disponibili a togliere i capilista bloccati e a estendere l' Italicum al Senato, ma non siamo disposti a farci prendere in giro», spiega Renzi ai suoi, dopo le prime avances del Movimento 5 Stelle.
GENTILONI RENZI MATTARELLA
L' ex premier, dicono i suoi sostenitori, in realtà ha una sola cosa in mente: andare a votare. Con la riforma che andrebbe bene al Pd e ai grillini (ma non a Forza Italia o agli alleati centristi). O, se non si riuscirà a trovare un' intesa, con i sistemi attuali. Ossia l' Italicum riveduto e corretto dalla Corte costituzionale alla Camera e il Consultellum al Senato, facendo solo dei piccoli aggiustamenti, con un decreto del governo magari, benché la cosa non piaccia affatto al presidente Sergio Mattarella.
Voto anticipato, magari il 5 novembre, in abbinata con le elezioni regionali siciliane, prima della manovra economica (su cui Renzi è stato molto chiaro: «Non ci possiamo far dettare l' agenda da Bruxelles, magari per interposta persona di qualcuno nel governo»).
Eppure questa è una prospettiva che Mattarella ha fatto chiaramente intendere di non gradire.
RENZI MATTARELLA 9
«Se sarà, il capo dello Stato dovrà farsene una ragione», spiega un renziano d' alto rango, il quale, però, ripete che non è vero che l' ex premier abbia già deciso veramente e definitivamente per le elezioni anticipate. Semplicemente, spiegano i sostenitori del segretario in pectore del Pd, Renzi vuole un campo di gioco libero da paletti. Quindi, non sarà adesso, non sarà domani, ma uno scontro istituzionale è possibile, nel futuro, anche se non inevitabile.
matteo renzi francesco bonifazi
Renzi non vuole mettersi a giocare la partita della legge elettorale per infilarsi nelle «beghe romane», senza essere sicuro di dove si va a parare. Punta a spingere su altro: Alitalia, lavoro di cittadinanza, assegni per i figli alle famiglie che ne hanno bisogno. Il che significa che Renzi non si metterà a trattare o a mediare con le altre forze politiche di persona all' infinito, perché è convinto che questo logorerebbe la sua immagine e quella del Partito democratico. L' ex premier sa bene che entrare in quel gioco di veti e controveti non gli gioverebbe.
Già, perché, al di là delle parole rassicuranti che continua a pronunciare davanti alle telecamere, e al di là delle decisioni finali, che non sono state ancora prese, Renzi è convinto che «le elezioni forse farebbero bene al Paese, perché darebbero un governo legittimato a fare le cose». Quando parla così, però, subito dopo l' ex premier aggiunge di non volere il voto, di non avere nessun problema ad arrivare a maggio del 2018 e di sostenere il governo Gentiloni. Quello stesso Gentiloni, cioè, che ha spiegato a Renzi che è pronto a farsi da parte se verrà il momento purché «non vi siano forzature».
2 - RENZI, OBIETTIVO 58% PER FAR FUORI FRANCESCHINI E PUNTARE ALLE ELEZIONI
della valle renzi franceschini colosseo
Pasquale Napolitano per “il Giornale”
La trappola per Matteo Renzi ha un nome e cognome: Dario Franceschini. L' ex premier considera già chiusa con una vittoria la partita di domani delle primarie contro i due sfidanti Michele Emiliano e Andrea Orlando. La sfida, quella vera, in cui è in gioco il futuro dell' ex sindaco di Firenze si sta disputando tutta nella metà campo dei renziani. Il rottamatore fiorentino ha fissato un obiettivo: ottenere (almeno) il 58% dei consensi alle primarie.
Una soglia che consentirebbe a Renzi di avere la maggioranza in assemblea nazionale e liberarsi dal «ricatto» politico di Maurizio Martina e soprattutto di Franceschini, al quale ieri ha dato una sberla annunciando lo slittamento dell' iniziativa a Caserta prevista insieme: oggi resterà a Roma per l' ultimo confronto social con gli elettori.
RENZI FRANCESCHINI
Se Renzi sfonda la soglia del 58% dei consensi non ha bisogno in assemblea del voto dei delegati di area Dem guidata dal ministro dei Beni Culturali. E nemmeno dell' appoggio della corrente di Sinistra è Cambiamento che fa capo al ministro dell' Agricoltura Martina, candidato alle primarie in ticket con lo stesso Renzi. Il segretario dimissionario dei democratici punta a ottenere il controllo assoluto del partito, per plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Completare, insomma, il processo di trasformazione del Pd in PdR. C' è un solo modo per centrare il risultato: non scendere al di sotto del 58% dei consensi.
francesca scarpato con renzi
I calcoli del giglio magico fissano a quella soglia l' asticella per essere autosufficienti nell' assemblea nazionale. L' ultimo sondaggio riservato che circola al Nazareno, datato 26 aprile 2017, recapitato allo staff dell' ex presidente del Consiglio assegnerebbe alla mozione renziana la vittoria con una forbice tra il 62 e il 65%. Il trend è dalla parte del rottamatore.
La missione è, dunque, a portata di mano. Più che Martina, il vero incubo per Renzi si chiama Franceschini. Il ministro dei Beni Culturali, leader dell' area filogovernativa, ha imposto, fino ad oggi, all' ex premier un atteggiamento prudente, fermando la corsa al voto e sostenendo il percorso di stabilità invocato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il «bullo» di Pontassieve soffre l' asse Gentiloni-Franceschini-Mattarella contro il voto anticipato: le primarie saranno l' occasione non solo per riprendersi la leadership del partito ma per avviare la resa dei conti nel cerchio renziano. Il piano del rottamatore, archiviato il passaggio congressuale, potrà entrare nella fase due: la corsa al voto.
RENZI MARTINA
La spallata al governo Gentiloni prima dell' approvazione di una manovra che si preannuncia lacrime e sangue potrà arrivare solo con il sostegno di Franceschini che controlla i gruppi parlamentari. Il ministro dei Beni Culturali che si è visto poco nella campagna elettorale per le primarie (non solo per garbo istituzionale verso il collega di governo Andrea Orlando) ha posto due condizioni all' ex capo del governo per appoggiare la richiesta del voto in autunno: una legge elettorale che sposti il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione e la possibilità di scegliere il 35% dei capilista bloccati alle prossime elezioni politiche.
Due condizioni destinate a cambiare gli equilibri nel Pd nella prossima legislatura. Sui capilista l' ex premier è disposto a trattare mentre non c' è margine di dialogo sul premio di maggioranza: Renzi non ha alcuna di intenzione di imbarcare in una futura coalizione i vari D' Alema, Bersani e Speranza che hanno abbandonato il partito.
renzi gentiloni martina
E, anche, ieri un falco renziano come Matteo Orfini è stato costretto a difendere la vocazione maggioritaria dei Dem: «La proposta di tornare alle coalizioni è sbagliata, perché le coalizioni hanno prodotto solo danni nella storia di questo Paese». Per Orfini «ripartire da lì sarebbe un errore». Davanti all' ex premier c' è una sola strada per neutralizzare il «ricatto» politico dell' ex democristiano Franceschini: vincere le primarie con il 58%, relegando il ministro a un ruolo di comparsa nel futuro PdR.