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    “ALL'INIZIO ZELENSKY DIPENDEVA DALLE NOSTRE DECISIONI. ADESSO SAREMMO IN GRADO DI PORGLI LIMITI, DI DIRGLI NO, SE PENSIAMO CHE POSSA COMMETTERE ERRORI?” - DOMENICO QUIRICO: “POSSIAMO ANCORA CHIEDERGLI DI TENTARE MOSSE DIVERSE SENZA PERDERE LA FACCIA? FORSE NO, PERCHÉ AL CONTRARIO SUO, NOI EUROPEI IN QUESTA GUERRA NON SEGUIAMO UNA LOGICA. CI AGGRAPPIAMO ALLA FORMULA: VOGLIAMO TENERE LA PORTA APERTA ALLA DIPLOMAZIA, DISCUTERE CON MOSCA. È L'USCITA DI SICUREZZA. L'ABBIAMO, FINGENDOCI RISOLUTI E IMPLACABILI. LE NOSTRE STRADE HANNO INIZIATO A DIVERGERE DALLA LOGICA SEMPLICE DI ZELENZKY, QUESTA È LA VERITÀ”


     
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    Domenico Quirico per “la Stampa”

     

    DOMENICO QUIRICO DOMENICO QUIRICO

    Zelensky ci intimidisce. Perché la sua collera contro i russi è vera, l'orrore di ritrovarsi nella gabbia di Putin e di rischiare la sconfitta per poi essere esibito come il trofeo conquistato, lui e il suo popolo, gli brucia in gola. Le sue parole di odio sono di oro zecchino, lui combatte. Noi guardiamo.

     

    Zelensky segue una logica: deve sconfiggere i russi e vendicarsi, riprendere tutte le terre irredente Crimea, Donbass, provocare con una serie di scossoni a catena la caduta di Putin e cambiare in modo permanente la storia dell'Europa centrale. Forse diventare la potenza regionale a cui guarderanno le genti slave che ha liberato dalla paura russa.

     

    putin zelensky putin zelensky

    Ogni mossa e parola, verso l'Occidente e verso la Russia, sono incatenate a questo chiaro scopo. All'inizio nei suoi infiniti messaggi, appelli, invocazioni, previsioni chiedeva aiuto con un sillogismo semplice, comprensibile: europei, adesso tocca a noi, poi sarà il vostro turno.

     

    Adesso si è fatto imperativo, distribuisce i voti tra chi aiuta davvero e chi finge: voglio le armi subito, non tra un mese...Macron venga a Kiev e gli mostrerò che è in atto un genocidio mentre lui tentenna, distingue.

     

    MEME ZELENSKY PUTIN MEME ZELENSKY PUTIN

    All'inizio di questa tragedia il presidente ucraino dipendeva da noi, dalle nostre decisioni. Adesso saremmo in grado di porre dei limiti, di dirgli no se pensiamo che possa commettere errori? Possiamo ancora chiedergli di tentare mosse diverse senza perdere la faccia?

     

    Forse no, perché al contrario di Zelensky noi europei in questa guerra non seguiamo una logica: non l'abbiamo mai elaborata. Ancora oggi dopo oltre cinquanta giorni e con una prospettiva sempre più evidente di un conflitto che diventerà cronico, permanente, con città perdute e linee di contatto roventi dal Baltico al mar Nero, abbiamo bisogno di ciance rassicuranti che sembrano una specie di malattia della pigrizia.

    vladimir putin volodymyr zelensky vladimir putin volodymyr zelensky

     

    Ci aggrappiamo alla formula: vogliamo tenere la porta aperta alla diplomazia, discutere con Mosca. È l'uscita di sicurezza. L'abbiamo, fingendoci risoluti e implacabili, conservata e imbalsamata la formula, con ignoranze premeditate, con piccole e grandi bugie. Dividendo una sorta di spazio sacro, il nostro, che la guerra la alimenta ma non la fa, e l'Ucraina. Le nostre strade hanno iniziato a divergere dalla logica semplice e chiara di Zelenzky, questa è la verità.

     

    putin zelensky biden putin zelensky biden

    Abituati alle «guerre piccole» della Sicurezza che si possono circoscrivere e modellare a nostro vantaggio, dove è possibile poco fare, molto dire e ancora meno pensare non abbiamo compreso che le idee legate al risentimento sono pietre che hanno un ordine inflessibile. Servono per costruire guerre appunto. E questa è una guerra implacabile, senza neppure le medioevali tregue di Dio. Leader logori, discreti fino alla trasparenza, spingono la ipocrisia a chiedere agli altri di entrare nelle loro visioni del mondo che talora sono così incolori e insapori da non essere definibili e talora si condensano in formule vaghe.

     

    zelensky putin zelensky putin

    Non comprenderanno mai le mosse di uomini come Zelensky e Putin che opposti risentimenti con logiche implacabili muovono quasi matematicamente l'uno contro l'altro.

    Questa è una guerra del risentimento dove non bisogna più aver paura di odiare, dove non bisogna più vergognarsi di essere fanatici: loro meritano tutto il male, ci hanno quasi condotto alla rovina, basta sottigliezze, ci vuole il coraggio di essere grossolani!

    Putin ha fatto del risentimento l'arma principale, gli ha fissato una data di inizio, la catastrofe del 1989 e l'umiliazione della Russia denudata della tarlata divisa sovietica.

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    Un mondo ordinato e sicuro è crollato senza nemmeno un trattato di Versailles che sanzionasse quella sconfitta, meschina, senza gloria, autocefala. Ha vissuto tutto questo di persona come una piccola scaglia di quel mondo orfana del mosaico di fondo, ha scoperto questo sentimento che è individuale e collettivo, capace di infettare comunità e nazioni, talora più potente che la lotta di classe e il razzismo. Proprio perché resta latente e può collegarsi e nutrirsi della povertà, del razzismo, del nazionalismo. Putin è un maniaco del risentimento, individuale e collettivo, quello di un mediocre privato della armatura che lo faceva sentire potente, invincibile, il Kgb, la ipotetica rivoluzione mondiale, la armata rossa.

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    Sa che all'origine del risentimento c'è sempre una ferita, un affronto, un trauma.

    All'inizio chi la subisce sa di non poter reagire per impotenza, per debolezza. Allora macera dentro di sé la vendetta che non può ancora realizzare, se ne imbeve. Fino a quando trabocca. Ma questa attesa comporta anche maledire e svilire il valore del colpevole, il nemico che ha causato l'offesa, e esaltare oltre ogni credibilità quelli delle sua comunità che pure non è stata in grado di difendere al momento in cui erano in pericolo.

     

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    È questo ben custodito risentimento che dà origine a una nuova forza, produce rivoluzioni, rivolte, rinascite. Mantener viva la ferita antica è più forte di ogni volontà di oblio. Il risentimento dimostra quanto sia artificiale il taglio tra passato e presente, che vivono sempre l'uno nell'altro. Il passato diviene presente, anzi più presente del presente. Per venti anni Putin non ha fatto altro che questo, custodire, rafforzare, gettare sale su quella ferita. Anche Zelensky prima dell'aggressione russa era un leader opaco, probabilmente un mediocre. Il risentimento gli è stato imposto da Putin con l'invasione.

     

    Lui ne ha fatto una strategia, un'arma efficace. L'aggressione, la indignazione e la rabbia che alzava tra gli ucraini, davano ordine e senso alla intricata storia comune tra Ucraina e Russia, la breve indipendenza spazzata via dai bolscevichi dopo la Prima guerra mondiale, le depredazioni del comunismo di guerra e la fame staliniana, e ora l'attacco brutale. Il risentimento si completa nel momento in cui diventa reciproco, si nutre l'uno dell'altro.

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    Tutto questo non ha significato per noi europei. Il nostro risentimento contro Putin è astratto, legato alla violazione delle buone regole di cui ci affermiamo custodi, alla insolenza di averci trascinato con le sue mire predatorie nell'ennesima costosa crisi. Non possiamo certo vivere lo stesso sacrosanto risentimento di Zelensky e degli ucraini che lottano per sopravvivere. Se non fingendo, con un atto di ipocrisia di cui ci vergogniamo e che ha bisogno sempre di una uscita di sicurezza.

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