Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
RENZI FLORIS BALLARO RAI
L’Italia è una repubblica fondata sull’equivoco. Ma la Rai ancora di più. Ecco dunque l’esordio dell’ennesima, preannunciata e conclamatissima palingenesi che già da oggi vuole l’azienda finalmente “restituita al Paese”, come twittava nei mesi scorsi il presidente Renzi, o addirittura, secondo un’altra social-lectio, “ai cittadini”.
E guai a chi sorride, seppure con rassegnazione. Il “Servizio pubblico”, d’altra parte, resta vincolato ad ammiccanti maiuscole e beffarde virgolette. Ci sarà tempo per ricostruire con la dovuta cura la rapida marcia d’avvicinamento dell’ultimo Conquistador verso la tv di Stato, periodico bottino di guerra, preda di spogli e di razzie del potere.
Ma fin d’ora la tentazione sarebbe quella di prendere le mosse da quell’altro mutilatino digitale trasmesso alla rete dal giovane premier nel maggio 2014: “Niente paura, futuro arriverà anche alla Rai. Senza ordini dei partiti”. Là dove, mettendo per un attimo da parte il ruolo dei corpi intermedi, l’ipotesi maliziosa è che Renzi, peraltro in quei giorni reduce da un corpo a corpo con Floris a “Ballarò”, fosse in realtà inferocito con la Rai, i suoi burocrati e i suoi regolamenti per il divieto di esibirsi in diretta alla “Partita del Cuore” - e magari di fare anche gol.
RENZI FLORIS RAI
Ciò detto, viale Mazzini è per sua natura e vocazione piuttosto arrendevole ai potenti di turno. A volte lo è a tal punto da prenderli addirittura prigionieri, come dimostrano un paio di remoti dossier dei servizi segreti e alcuni più recenti cicli di intercettazioni telefoniche che documentano come all’occorrenza il “servizio pubblico” - ah-ah! - si trasformi in una sorta di alcova di Stato. In questo senso, nell’arco ormai di un trentennio, timoratissimi democristiani, vitalisti craxiani e famelici post-fascisti potrebbero recare illuminanti testimonianze sui propri sviluppi sentimentali, per così dire, sovrapponibili a quelli dell’azienda radiotelevisiva.
Per quanto riguarda Berlusconi, beh, anche lui qualcosina pure su quel versante sarebbe certamente in grado di aggiungerla. “La Rai - era la formula che condensava il programma del Cavaliere - va ripresa in mano”. Dopo di che, al netto degli impicci politici, dei magheggi economici, delle nomine scandalose e perfino della “Struttura Delta” (una cricca di dirigenti che dall’interno facevano in buona sostanza gli interessi di Mediaset), ecco, ben presto si comprese che fra i principi non negoziabili di quel salvifico programma rientrava di piazzare un certo numero di avvenenti attrici amiche del premier nelle varie fiction.
SANTORO BERLUSCONI RAI
Una signorina piuttosto insistente ebbe un posto anche in un “Padre Pio”. Mentre il designato consigliere d’amministrazione di Forza Italia, già fondatore dell’”Associazione del Buongoverno” - ed è detto tutto - fu pizzicato sempre per telefono a caldeggiare le ragioni di una fiction prodotta dalla sua compagna e dedicata niente meno che a “La meravigliosa storia di Suor Bakhita”, l’ex schiava africana menzionata in un’enciclica di Benedetto XVI e appena salita agli onori degli altari.
Umberto Bossi, d’altra parte, era andato in fissa e aveva puntato tutte le sue fiches-Rai sul “Barbarossa”, costosissimo polpettone di mitopoiesi archeo- padana. Come Mussolini ai tempi di “Scipione l’Africano” e poi Andreotti durante la lavorazione di “Ben Hur”, il leader leghista e ministro delle Riforme volle anche visitare il set, in Romania, trovandolo affollatissimo di comparse rom.
Per compiacerlo, previa segnalazione di alacri uffici romani, la produzione ritenne opportuno di regalare a Bossi anche una particina, un cameo, vestito da nobile lombardo. Il “Barbarossa” venne infine presentato e proiettato al Castello Sforzesco in una serata di gala, con bracieri, figuranti in costume e pure un guerriero a cavallo.
BOSSI RAI BARBAROSSA
Questa è insomma la Rai. Per capirsi. E seppure in certi giorni si è portati a credere che l’unica sensata idea sarebbe quella non tanto di venderla, ma di abolirla del tutto, la retorica del comando, con quel tanto o quel troppo di ipocrisia che comporta, vuole che chi ci mette le mani sopra ne farà comunque un gioiello di rinnovamento, anzi di rinascimento, di autonomia, di trasparenza, di cultura e così via.
Donde l’ennesimo e mirabilissimo “Raibaltone”, neologismo che tuttavia risulta segnalato già vent’anni orsono nel dizionario “Novelli-Urbani”, nonché censito nel 1999 da Enzo Golino e dal glottologo Fabio Rossi. L’uso ventennale di tale formula conferma come l’azienda sia destinata o condannata, se si vuole, a restare animatissimo serraglio, hortus conclusus, campo di battaglia e terreno di coltura dei nuovi equilibri, specchio, ma anche stagno, palude e perfino “cloaca” - in tal modo la definì a fine esperienza il professore berlusconiano di Suor Bakhita - del potere.
RENZI FLORIS BERLUSCONI SANTORO BOSSI RAI
Si apre così, non proprio sotto i migliori auspici, l’era del giovane Renzi che fino a qualche mese fa voleva restituire la Rai al Paese e ai cittadini. E non si sa se ci credeva davvero, e se ancora ci crede pure lui.