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    I DELIRI “WOKE”? DURATI QUANTO UN GATTO IN TANGENZIALE – I RICCONI NON MANDANO PIÙ I LORO FIGLI NELLE UNIVERSITÀ DI ÉLITE, IMPREGNATE DI CULTURA DE' SINISTRA, PER NON ESPORLI A DOTTRINE RADICALI. RAMPINI: “LA FUGA DI STUDENTI VERSO LE UNIVERSITÀ DEL SUD DEGLI STATI UNITI È CONSIDERATO COME UNO DEI TANTI SEGNALI CHE LA WOKE CULTURE È IN RITIRATA. E CI SONO ALTRI DATI CHE SEGNANO UN’INVERSIONE DI TENDENZA. MOLTE AZIENDE AMERICANE STANNO SMANTELLANDO I COMITATI CHE SI OCCUPANO DI INCLUSIONE E LE STESSE MINORANZE ETNICHE HANNO SENTIMENTI AMBIVALENTI…”


     
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    Estratto dell'articolo di Federico Rampini per www.corriere.it

     

    Woke Oxford Woke Oxford

    Centomila dollari all’anno perché tuo figlio sia esposto (e magari aderisca) a dottrine e teorie radicali? Qualcuno ci sta ripensando, forse gli studi a Harvard e Columbia non sono un buon affare. È cominciata così una reazione spontanea contro quella che in molti definiscono «dittatura ideologica» che indottrina i giovani nelle università di élite dell’Ivy League. La fuga di studenti verso le università del Sud degli Stati Uniti – che fra l’altro costano molto meno alle loro famiglie – è considerato come uno dei tanti segnali che la woke culture è in ritirata. […]

     

    Abbiamo tutti notato che alla riapertura dell’anno accademico le proteste studentesche filopalestinesi sono quasi scomparse, o comunque si sono molto affievolite, nonostante che non sia affatto cessata la guerra in Medio Oriente con il suo corredo di tragedie umanitarie. Il fatto che le autorità accademiche abbiano preso provvedimenti contro le violenze antisemite e contro l’infiltrazione di agitatori esterni nei campus è solo una delle possibili spiegazioni. […]

     

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    Altri dati segnalano inversioni di tendenza. Molte aziende americane, alla chetichella e senza fare troppo rumore, stanno smantellando i comitati D.E.I., cioè Diversity Equity Inclusion. Si tratta di quelle burocrazie interne che erano incaricate di aumentare la presenza di minoranze etniche e sessuali ai vertici delle aziende, e di applicare una vigilanza sui comportamenti e sul linguaggio. Lo stesso accade nel mondo della finanza con la presa di distanza di molti investitori dalla «religione» ESG, sugli investimenti legati alla lotta contro il cambiamento climatico. In tutti questi campi si erano verificati degli eccessi controproducenti. 

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    Le stesse minoranze etniche che avrebbero dovuto essere favorevoli alla politica D.E.I. spesso hanno sentimenti ambivalenti: se sei un lavoratore appartenente a queste minoranze, e sei di talento, temi che la tua promozione venga attribuita alle «corsie preferenziali» e questo ti danneggia anziché aiutarti.

     

    In quanto all’euforia sulle energie rinnovabili, ha lasciato il posto a numerosi ripensamenti: sull’impossibilità di rinunciare a breve termine alle energie fossili, per esempio, oppure sugli effetti collaterali nefasti dell’auto elettrica (molto meno pulita di quanto si crede, e sempre più dominata dalla Cina).

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    La svolta delle iscrizioni universitarie si può descrivere anche come una «fuga dal Nord». Le otto università private che fanno parte dell’Ivy League, il «club» degli atenei storicamente più élitari e prestigiosi, sono tutte situate negli Stati del Nordest. Sono le istituzioni più costose, hanno forti barriere selettive all’ingresso (anche se gli studenti poveri ma meritevoli possono accedervi con borse di studio), tradizionalmente offrivano la quasi certezza di un futuro professionale di serie A e molto più: l’accesso alla classe dirigente, all’establishment.

     

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    Lo spettacolo della loro trasformazione in luoghi d’indottrinamento ideologico, d’intolleranza e di censura verso il dissenso, ha scatenato una disaffezione. A beneficiarne sono soprattutto le università del Sud, dai nomi meno altisonanti e talvolta semisconosciute all’estero: Georgia Tech, Clemson, University of South Carolina, University of Tennessee, University of Mississippi. 

     

    Il numero di giovani americani del Nord che si sono iscritti a università del Sud è superiore dell’82% rispetto a vent’anni fa con balzi del +30% negli ultimissimi anni.

     

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    Questo ha ricadute benefiche sulle economie locali, perché i due terzi dei neolaureati finiscono per trovare lavoro negli stessi Stati Usa dove hanno completato gli studi universitari. La fuga dall’Ivy League si traduce quindi in una emigrazione di talenti da Nord a Sud.

    Se davvero è iniziato un ripensamento, riflusso, ritirata dalla woke culture, saremmo nella norma. Le mobilitazioni di tipo dottrinario, estremista, hanno una storia antica negli Stati Uniti e il loro andamento è sempre stato ciclico, stagionale. La woke culture è solo un’etichetta recente, incollata all’ultima versione di questi fenomeni (la penultima veniva chiamata politically correct e abbreviata in pc); ma è molto meno nuova di quanto credano i suoi giovani fan. I loro genitori, nonni, bisnonni e trisavoli, hanno attraversato cicli simili.

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    […]  Per esempio, chi crede che la radicalizzazione della sinistra sia legata all’elezione di Donald Trump, dimentica che vistosi fenomeni di «dittatura del pensiero politicamente corretto» si affermarono nei campus universitari nel 2011, in piena presidenza Obama.

     

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    […] Accadde per esempio negli anni Sessanta quando una generazione di studenti universitari temette di non avere un posto e un ruolo nel Sogno Americano. Tipicamente, anche allora i protagonisti della mobilitazione, dell’attivismo nelle piazze, si presentarono come paladini delle classi lavoratrici e delle minoranze etniche, con cui in realtà non avevano quasi nulla in comune: né i valori etici né gli interessi economici. Quando i «capitalisti simbolici» si videro appagati nelle loro attese di ascesa sociale, il ciclo del «risveglio» entrò in fase di riflusso. Forse stiamo entrando, di nuovo, in una di queste fasi.

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