Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
MATTEO E TIZIANO RENZI
«Cancellatemi tutti gli appuntamenti di questa mattina. Voglio andare da mio padre». Non gli avversari politici a cui provare a rispedire al mittente quasi un anno di accuse. Non quella parte di minoranza pd che aveva di fatto usato il caso Consip contro di lui. E nemmeno gli autori di quello che lui stesso, anche se in pubblico nega la presenza di «un complotto», considera «uno scandalo nato per colpirmi».
MATTEO E TIZIANO RENZI
Il primo pensiero di Matteo Renzi, quando le anticipazioni sui verbali del procuratore di Modena hanno fatto il giro delle rassegne stampa e della Rete, è per il papà. È a lui, al padre che lui stesso aveva sospettato di essere «colpevole» di molte delle accuse presenti nei verbali, al padre che «se ha sbagliato dovrà scontare una pena doppia», che Renzi junior dedica l' inizio di quella giornata che gli fa fare un passo - forse quello decisivo, si vedrà - fuori dal pantano Consip.
MATTEO E TIZIANO RENZI
In una mattinata intera, trascorsa faccia a faccia, i due hanno riportato alla dimensione «padre-figlio» quel rapporto «da uomo a uomo» che, nei mesi successivi alla nascita dell'inchiesta, aveva vissuto fasi molto aspre. Oggi, di fatto, il segretario del Pd considera forse Renzi senior «quello che ha pagato più di tutti in questa storia». E la caduta del velo sui responsabili dello scambio di persona contenuto nei faldoni dell' inchiesta (Matteo scambiato per Tiziano, Bocchino per Romeo) per il leader del Pd è praticamente una prova, o quasi.
italo bocchino
Ristabilito in famiglia l'ordine naturale delle cose, Renzi ha un obiettivo. Riuscire a riavere indietro il consenso e la popolarità persi per strada a causa di una vicenda «che è nata per colpire me». Se il caso di Banca Etruria lo aveva colpito come capo di governo prima, il dossier Consip l'ha ferito come leader politico dopo. I suoi lo descrivono come «molto amareggiato» per tutto quello che è successo.
Un'amarezza che va moltiplicata per dieci se si è di fronte - come dirà nel pomeriggio a un'iniziativa del Foglio - a «un carabiniere che falsifica prove», a «un agente dei servizi che s' intrufola dove non dovrebbe». Amareggiato sì ma comunque fiducioso del fatto che, da adesso, riuscirà a risalire la china.
Alfredo Romeo 3
Difficile, tanto per fare un esempio, che le ultime rivelazioni su Consip abbiano degli effetti benefici sulle urne in Sicilia, in quella sfida che per il Pd si annuncia delicatissima. Più semplice, almeno è quello che Renzi spera, riuscire a ristabilire «la verità» in tempo per la campagna elettorale delle Politiche.
Un punto a suo vantaggio, anche se riguarda il fronte interno, il segretario dei Democratici l'ha portato a casa. Una delle punte di diamante della fronda interna, Dario Franceschini, è stato il primo a parlare di «gravità istituzionale enorme» nel commentare le parole del magistrato modenese Musti. Un segnale che i renziani interpretano come il tassello di una possibile tregua, non certo come la fine di una guerra che riguarderà tanto l' ipotesi di un blitz sulla legge elettorale (la fronda vuole il premio di coalizione, i renziani no) quanto la composizione delle liste per le politiche, senza dimenticare l'uragano elettorale che potrebbe soffiare contro il Pd alle regionali siciliane.
MASTELLA
Diverso sarebbe se i verbali della Musti fossero la punta di un iceberg che questa volta, invece che affondarlo, potrebbe riabilitarlo del tutto, Renzi. «Pretendo quella verità che colpirà chi ha falsificato le prove», ripete. E nell'aprire le danze di quello che potrebbe (condizionale d' obbligo) trasformarsi in uno scontro con una parte della magistratura, il leader Pd punta il dito contro le parole di Piercamillo Davigo «quando dice che ci sono cittadini che si presumono innocenti e che sono colpevoli». E dulcis in fundo, nel solidarizzare col Clemente Mastella assolto dopo nove anni, lo dice forte e chiaro: «La politica è stata subalterna alla magistratura».