Federico Rampini per la Repubblica
DONALD TRUMP
L' estate d' oro dell' economia americana - e indirettamente di Donald Trump - si riassume in tre dati: +4,2%, +16%, e 16 dollari l' ora. Il primo è l' aumento trimestrale del Pil, il secondo riguarda i profitti delle imprese. Il terzo è il salario operaio orario che dovrà essere pagato su almeno metà dei componenti delle auto, in base all' accordo preliminare sulla riforma del Nafta. Se i primi due dati piacciono (anche) a Wall Street, il terzo rassicura i colletti blu di Detroit, un elettorato che fu decisivo per Donald Trump nel novembre 2016 e può pesare anche sulle legislative di mid-term fra due mesi.
La crescita dell' economia americana non è una novità, visto che ebbe inizio un anno dopo l' arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca. Tuttavia sta accelerando e ieri la conferma è arrivata con una leggera revisione al rialzo per il dato del secondo trimestre di quest' anno, che registra appunto +4,2% per il Pil americano su base annua. È il miglior dato sul Pil americano da quasi quattro anni. Dietro la revisione c' è un andamento ancora più dinamico per gli investimenti delle aziende.
acciaio
Queste hanno a loro volta di che rallegrarsi: nel secondo trimestre i loro profitti sono cresciuti del 16% anno su anno, la performance più positiva degli ultimi sei anni.
Qui Trump c' entra, perché a gonfiare la redditività delle aziende ha contribuito la sua riforma fiscale, particolarmente generosa nel tagliare le aliquote sugli utili societari, oltre che nella deregulation e col condono per il rimpatrio di capitali.
A consolidare il clima positivo ci si mette pure il commercio estero. Procedono meglio del previsto i negoziati triangolari Usa-Messico-Canada per la riforma del Nafta, il trattato di libero scambio che aprì la strada a molti altri accordi di quel genere, inaugurando nel 1994 il mercato unico nordamericano. I negoziati per la verità non sono proprio triangolari bensì "bilaterali a tre". Trump ha applicato la sua tattica spregiudicata dividendo i suoi interlocutori, separando la trattativa su un tavolo Usa-Messico ed uno Usa-Canada.
Con il Messico l' accordo è praticamente fatto, e questo mette con le spalle al muro il governo canadese che a questo punto spera di chiudere entro domani. Una delle clausole significative riguarda appunto l' industria dell' automobile, che è cruciale perché è uno dei settori che maggiormente si sono localizzati sull' intero Nafta: Ford, General Motors e Fiat-Chrysler hanno fabbriche in tutti e tre i Paesi, spesso un modello finito è la risultante dell' assemblaggio di componenti che hanno attraversato almeno una delle frontiere.
TRUMP DAZI
I negoziatori dell' Amministrazione Trump hanno ottenuto due novità. La prima impone che il 75% dei componenti sia "nordamericano", prodotto in uno dei tre Paesi. Questo limita la possibilità per le fabbriche messicane di incorporare pezzi prodotti a costi ancora più bassi, solitamente in paesi dell' America centrale o del Sudamerica, talvolta in Cina. L' altra novità è l' obbligo che il 50% dei componenti siano prodotti in stabilimenti che pagano un salario di almeno 16 dollari l' ora.
donald trump muro con il messico 5
Questo limita la concorrenza al ribasso sul costo del lavoro, e viene incontro alle richieste delle Union di Detroit. Un dettaglio politico: i vertici dei sindacati metalmeccanici (United Auto Workers) hanno mantenuto la loro fedeltà al partito democratico, ma nella loro base molti votarono per Trump all' elezione presidenziale.
Peraltro diversi esponenti del partito democratico negli Stati industriali del Midwest appoggiano la politica del presidente sulla revisione del Nafta, così come sui dazi alla Cina. Quel che sta accadendo nei negoziati separati con Messico e Canada, smentisce le previsioni più catastrofiste che hanno accompagnato fin dall' inizio i proclami di Trump su America First e la revisione degli accordi commerciali. Non c' è stata finora l' Apocalisse del protezionismo che secondo molti esperti avrebbe dovuto provocare una crisi mondiale.
donald trump justin trudeau
La durezza della tattica negoziale americana sta pagando: nel braccio di ferro in corso con diverse altre nazioni, sono queste ultime a dare i primi segnali di cedimento. Alla base c' è un dato di fondo che Trump e i suoi consiglieri hanno colto: gli Stati Uniti hanno il mercato più aperto alle importazioni, altri praticano il protezionismo da sempre, e quindi sanno di avere molto da perdere se il loro cliente numero uno alza le barriere a sua volta.