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    RESTARE A CASA NON È LA SCELTA PIÙ SICURA PER TUTTI – PER LE DONNE CHE CONVIVONO CON UN COMPAGNO VIOLENTO, LA QUARANTENA È UN PERIODO DA INCUBO COSTELLATO DI MINACCE, INSULTI, VIOLENZE, SENZA PIÙ AVERE NEMMENO LA POSSIBILITÀ DI ALLONTANARSI – I CENTRI ANTIVIOLENZA REGISTRANO UN DATO ALLARMANTE: DIMINUISCONO LE RICHIESTE DI AIUTO, MA NON SICURAMENTE LE BOTTE – CHI LE SUBISCE NON SA DA DOVE CHIAMARE…


     
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    Flavia Amabile per “la Stampa”

     

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    Restate a casa, lì siete al sicuro, ripete da settimane il governo nel tentativo di fermare il coronavirus. È vero, ma non del tutto. Per alcune donne significa convivere in modo totale con un marito o un compagno violento.

     

    Significa subire minacce, insulti, violenze, senza più avere nemmeno la possibilità di allontanarsi per lavoro o anche solo per andare a prendere i figli a scuola. È l' allarme lanciato da D.i.Re, la rete di oltre 80 centri antiviolenza presenti in tutta Italia. Nasce da un' anomalia apparentemente contraddittoria: le richieste di aiuto delle donne sono in forte calo. Stanno diminuendo le violenze? Secondo le responsabili dei centri sta accadendo l' opposto.

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    Mariangela Zanni, del Centro Veneto Progetti Donna di Padova, da circa un mese zona rossa con movimenti quasi annullati: «Gestiamo 5 centri nella provincia di Padova. Abbiamo dovuto limitare le attività dal 23 febbraio ma abbiamo sempre lasciato aperti i canali telefonici. C' è stato un calo drastico delle chiamate. In genere riceviamo 3 nuove richieste di aiuto al giorno. Ora abbiamo ricevuto tre richieste in due settimane».

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    Una situazione molto simile si sta verificando a Bergamo, uno degli epicentri dei contagi. Sara Modora, coordinatrice del centro Aiuto Donna della città: «Siamo chiuse da due settimane, da allora sono arrivate sette telefonate, una cifra ridicola rispetto a quello che è il nostro flusso abituale». Lo stesso accade nelle altre regioni italiane da quando è scattato il coprifuoco. Antonella Veltri, presidente della rete D.i.re: «I segnali che ci arrivano da tutti i centri mostrano una riduzione delle richieste: questo ci preoccupa molto.

     

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    Quando si crea una situazione di convivenza forzata si assiste invece a un sensibile aumento delle violenze. Le limitazioni imposte per combattere il contagio da coronavirus, però, impediscono alle donne di muoversi e di trovare il modo di chiamare e chiedere aiuto, gli uomini che le maltrattano sono sempre a casa, il controllo su di loro è continuo».

     

    C' è molta paura. Si teme quello che si deve subire dentro casa ma anche i pericoli creati dal virus fuori casa, soprattutto quando si ha la responsabilità di un figlio. Sara Modora: «Proprio in queste ore stiamo cercando di gestire nel migliore dei modi la difficile situazione di una donna che ha deciso di andare via con la figlia di 9 anni. Il dilemma era scegliere tra una casa dove sa di poter proteggere la figlia dal virus ma non se stessa dalle violenze e una soluzione all' esterno dove lei non subirebbe più maltrattamenti, ma la figlia potrebbe essere esposta a contagi».

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    In tante scelgono di proteggere i figli e questo apparirà evidente fra qualche tempo, secondo Veltri. «Quando questa dimensione claustrofobica della convivenza a casa finirà, temo che assisteremo a una grossa impennata delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza. Bisogna trovare il modo di aiutare in questo periodo le donne a sottrarsi almeno per un po' di tempo alla convivenza».

     

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    Antonella Veltri consiglia di «mandare il marito a fare la spesa per trovare il modo di telefonare o andare da sole al supermercato e approfittare per fare una telefonata». A Padova si stanno organizzando per ricevere le richieste senza lasciare tracce telefoniche.

     

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    Mariangela Zanni: «Abbiamo creato un modello che crea un contatto con le donne, lasciano solo una mail e scelgono come essere chiamate in sicurezza». La rete D.i.re ha scritto alla ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti per chiedere gli strumenti necessari per far fronte all' emergenza.

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