Giovanni Caprara per corriere.it
See you back on # Earth // Ci vediamo a #Terra! #VITAmission pic.twitter.com/mxlHToTW09
— Paolo Nespoli (@astro_paolo) 14 dicembre 2017
Ed eccoci all'ultimo #TimelapseADay di #VITAmission... Non potevo non mettere il mio ospite speciale preferito: l'#Italia di notte! Spero che il viaggio vi sia piaciuto ? pic.twitter.com/EtF7DCmdnq
— Paolo Nespoli (@astro_paolo) 13 dicembre 2017
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Il ritorno dallo spazio dopo una lunga permanenza sulla stazione Iss rappresenta una sfida per l’organismo. Ogni astronauta, però, reagisce in maniera molto personale. Paolo Nespoli in questo ritorno dal terzo viaggio appare più in forma rispetto all’ultimo rientro ma i due compagni di viaggio appaiono meno colpiti dal forzato ritorno alla gravità terrestre.
Per tutti, comunque, c’è una condizione di crisi fisica dalla quale devono riprendersi e che richiede alcuni mesi: anche qui la risposta può essere diversa a seconda del soggetto. Nel primo periodo viene ritirata anche la patente; cioè non possono guidare l’automobile. Stare nello spazio diversi mesi significa accelerare l’invecchiamento.
I cambiamenti incominciano dalla perdita di calcio nelle ossa (osteoporosi) che diventano deboli e fragili. E’ per questo che quando escono dalla Soyuz gli assistenti adagiano con delicatezza gli astronauti sulle poltrone, proprio per non sollecitare in maniera rischiosa le ossa degli arti.
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La ripresa completa richiede alcuni mesi. Il sistema vestibolare, poi, che si era regolato senza la gravità provocando nei primi giorni in orbita pure qualche fastidio, il mal di spazio, di nuovo ha bisogno di qualche settimana per garantire il ritorno permanente al perfetto equilibrio. Tra l’altro i recettori della pianta dei piedi non riconoscono più le condizioni del passato e inviano segnali errati al cervello che traggono in inganno nella deambulazione.
Altrettanto gli occhi devono riconquistare la normalità: il 60 per cento degli astronauti in orbita ha problemi alla vista a causa di uno stress ossidativo dei bulbi oculari. Altrettanto il sistema cardiocircolatorio ha bisogno di riprendere le precedenti condizioni: in orbita il sangue fluisce facilmente alla testa a causa dell’assenza di gravità e per questo i volti degli astronauti appaiono gonfi e più rosei.
Tornati a terra il cuore, che lassù faceva meno fatica a pompare, deve di nuovo forzare il flusso proprio per vincere la gravità e anche questo richiede un po’ di tempo. Tra l’altro il cuore proprio perché fa meno fatica riduce la sua massa in alcuni casi anche di un terzo ma poi deve riprendere le sue condizioni e dimensioni iniziali.
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Come il muscolo del cuore anche gli altri muscoli del corpo si indeboliscono ed è necessario per i primi mesi una intensa riabilitazione. Non basta che in orbita gli astronauti facciano circa due ore al giorno di ginnastica. Insomma tutto il corpo viene alterato nelle lunghe permanenze di 5-6 mesi che ora sono la norma, in maniera profonda.
A cominciare dal sistema di difesa immunitario che si abbassa nelle sue capacità rendendo gli astronauti più vulnerabili alle malattie e anche questo aspetto fondamentale richiede un riassetto totale.
Insomma in media sono necessari cinque-sei mesi a seconda del soggetto per stabilire il ritorno completo alla normalità e pensare, magari, alla successiva missione.
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