Alessandro Milan per “la Verità”
GIANNI DI ROCCO
«Forse si stava meglio quando si stava peggio». Si stenta a credere alle parole di Gianni Di Rocco, che nella vita è stato baciato due volte dalla fortuna, se si può chiamare così una cospicua eredità lasciata prima dal padre, poi da una zia. In mezzo a questi due eventi, Di Rocco ha passato gli ultimi 12 anni a Rapallo, dormendo al bordo del binario 1 della stazione.
Era diventato un clochard, visto che la prima eredità l'aveva dilapidata in una vita di eccessi. Ora è un ex clochard o, come lo indicano tutti, il clochard diventato ricco. Che sembra il titolo di una favola a lieto fine, anche se lui tiene a precisare «io rimango sempre la persona di prima».
Un mese fa, da Villa Petto, frazione di Colledara, in provincia di Teramo, parte la classica telefonata che ti cambia la vita. La zia Elisabetta è morta, due mesi dopo aver perso il figlio Cesare, unico figlio. La zia è ricca: immobili, terreni, soldi. E Gianni Di Rocco diventa di colpo il senzatetto più celebre d' Italia. Da quel giorno a Rapallo, dove tutti lo conoscono, dove anche l'amministrazione del sindaco, Carlo Bagnasco, lo ha sempre sostenuto, non può fare un metro senza essere fermato, salutato, riverito. Lo cercano i giornalisti, le tv, qualcuno ha già proposto di scrivere un libro sulla sua storia.
GIANNI DI ROCCO
«Non sono diventato nessuno» si sminuisce lui, 47 anni, laureato in sociologia a Urbino, appassionato di antropologia sociale e delle teorie di Lombroso, divoratore di libri. E che però non ha mai lavorato un solo giorno in vita sua «perché il lavoro non fa per me». «Io non sono un materialista», mette subito in chiaro. «Per me davvero i soldi non contano nulla. Potrei perdere tutto quello che ho ereditato che fa lo stesso. Possono darmi 10 miliardi di euro che è uguale».
I soldi non danno la felicità?
«Per nulla. Meglio crescere fortunato che ricco».
Nel tuo caso sei stato fortunato addirittura due volte: due eredità.
«La prima l' ho sperperata al gioco, in anni di vita libera e libertina. Mio padre mi lascò un bel gruzzolo. Mi sono giocato almeno 3-400 milioni di vecchie lire. Ero affetto da manie di grandezza e onnipotenza».
GIANNI DI ROCCO CON CARLO BAGNASCO
Eppure hai studiato, ti sei laureato. Perché non ti sei trovato un lavoro?
«Non mi piace l'idea dello sfruttamento di un uomo nei confronti di un altro uomo. Non sopporto le disuguaglianze. È pieno di gente che non fa nulla e ha stipendi da favola, ci sono persone che si fanno il culo e non hanno nulla».
Allora perché hai preso la laurea?
«Che ti devo dire, sono fatto così. Mi piace studiare, leggere, approfondire. Se dovessi impegnarmi in qualcosa di sociale lo capirei, ma l'idea del lavoro è proprio lontana dalle mie corde».
Come hai vissuto in questi anni?
«In totale libertà, ovunque. Ho dormito in tutte le stazioni, a Termini, alla Centrale di Milano, sotto le stelle, all'Altare della Patria, all' aeroporto di Fiumicino».
Da barbone.
«Barbone è un po' offensivo. Direi clochard. Ho anche assaporato momenti unici. Chi ha mai dormito sotto un cielo stellato con vista sulla Torre Eiffel? Io l'ho fatto. Ma anche a Roma, vicino al Vittoriano. Stavo lì, di notte, sulla panchina, e pensavo che quel marmo sotto la schiena fosse quello di un albergo cinque stelle».
Non sarà stata una vita sempre così facile.
GIANNI DI ROCCO
«Tutt'altro. Ho provato a non mangiare quasi niente per una settimana. Ricordo nel 2004 un Natale cupo, triste, solitario a Villa Petto. Vedevo le luci natalizie, gli alberi colorati, la gente felice e nessuno che mi telefonava. Lì ho pensato: "Gianni, ma cosa hai fatto di male?"».
Villa Petto però ti ha cambiato nuovamente la vita.
«Lo scorso 28 febbraio è morta mia zia Elisabetta. Un mese prima era morto il suo unico figlio, mio cugino Cesare. E sono rimasto l'erede più importante, come cugino diretto, insieme ad altri parenti più lontani».
A quanto ammonta il patrimonio?
«Non lo so. Sono stato la scorsa settimana nel paesino ma non ho ancora capito. Ma sono terreni, case, proprietà, soldi. Comunque ho nominato tre tutori e se ne occuperanno loro, a me bastano pasti caldi e tre pacchetti di sigarette al giorno. Rigorosamente Lucky Strike, perché le fumava Marylin Monroe».
Ma proprio non ti piacciono i soldi?
GIANNI DI ROCCO
«Uno che è milionario per me conta come uno che non ha un euro. Invece prima, a Rapallo, dove ho vissuto gli ultimi 12 anni, pochi mi salutavano. Adesso mi fermano, sorridenti».
E cosa chiedono?
«Lasciamo stare: pensa che qualcuno mi ha perfino infilato in tasca il proprio Iban e un biglietto con scritto "ricordati di me". Sono tutti invidiosi, tutti attaccati al dio denaro.
Guardano a quello che ho, non guardano all'uomo Gianni. È una pochezza umana incredibile, sono robe da matti».
Ma la tua è una bella favola o no? Io non l’ho mica capito.
«Questo è un bel dilemma, sai. Non so cosa risponderti. Forse stavo meglio prima di tutta questa attenzione».
Meglio vivere da clochard?
CLOCHARD
«Al di là della libertà che ti ho raccontato, quella è una vita dura, non ti credere. I senzatetto sono i reietti della società, sempre ai margini, abbandonati. Anche questa smania di aiutare tutti gli immigrati che arrivano in Italia la capisco poco. E le povere persone che non hanno nulla? Le vedete o no? Fortuna che io sono sempre stato sfacciato».
In che senso?
«Io ho sempre chiesto soldi, a tutti. Con garbo, senza mai compiere mezzo reato, ma ho chiesto. Avvocati, notai, preti, vescovi, mense, seminaristi, cardinali, politici, non mi sono fatto mancare nulla. Io chiedevo. Incontravo Sgarbi, assessore a Milano, e gli chiedevo soldi».
vittorio sgarbi sul wc
E lui te li dava?
«Certo. Io ho sempre chiesto. Anche ai politici. Però non raccoglierei un euro da terra, se a qualcuno gli cadesse. Qui il sindaco è stato generoso, l' amministrazione mi ha aiutato. Ricordo un mobiliere di Arenzano, un tale Rinaldo, che un giorno mi incontra per strada e mi fa: "Ma che problemi hai?". Gli ho spiegato la situazione e lui mi ha dato 350 euro: "Ogni tanto lo faccio con qualcuno", mi ha detto. Ma io avevo già capito tutto da Giulio Andreotti».
Come, scusa?
«Anni fa lo incontrai sull' eurostar Roma-Milano, con la scorta. Io non ho problemi, do del tu a tutti, saluto chi mi pare. Beh, com' è come non è comincio a parlarci e Andreotti mi fa: "Si ricordi Gianni, nella vita le persone sono attratte dai soldi e dal potere. Non conta nient' altro". Io aggiungo che il potere conta anche di più, ma sto capendo che cosa significa l' attrazione per il denaro. Da parte degli altri però».
Torniamo alla vita da clochard.
GIULIO ANDREOTTI
«È molto dura. Ho visto tanta cattiveria, gente picchiata. Ho salutato amici alla sera e al mattino dopo erano morti. Un anno ne sono morti 12 o 13 per il freddo. Un clochard vive in media 50-55 anni. Ho visto gente che dopo un anno di vita così si è alienata e si è buttata sotto un treno. Invece i clochard sono persone sensibili, nella maggior parte dei casi hanno solamente avuto sfortune nella vita. L' importante è non perdere mai la dignità, non bisogna morire dentro. Io ce l' ho fatta».
È possibile innamorarsi di un clochard?
«Ma quando mai. È difficilissimo, nessuno prova amore per un reietto della società. Le donne, altro capitolo... lasciamo stare, quando qualcuna dice "ti amo", ama te o quello che hai?».
Ma ora che farai?
«L' idea di vivere in una casa mi destabilizza un po'. Se proprio devo confessare un sogno vorrei avere una biblioteca fornita, con libri di tutti i tipi perché sono un lettore vorace».
giulio andreotti informale
Ma ti rendi conto che sei stato doppiamente fortunato? Hai avuto un' eredità, l' hai dilapidata, ora hai una seconda possibilità. A quanti capita?
«Io mi sono pentito di avere buttato via l' eredità di mio padre. Però non ho lasciato un centesimo di debiti. E quella esperienza mi ha fatto capire il valore dei soldi, anche se non sono materialista. Oggi non potrei dilapidare più il patrimonio. Ma se dovesse succedere che qualcuno si approfitti di me, pazienza. Non ho nulla da temere. Non ho paura di nessuno. Perché ricordati che per vivere bene bisogna innanzitutto essere sereni con se stessi. Io lo sono. Poi, se ho commesso qualche errore me la vedrò con Dio».