Tommaso Labate per corriere.it - Estratti
LUCIANO D'AMICO
Ha accolto e continuerà ad accogliere tutti i leader del centrosinistra allargato che andranno in Abruzzo a sostenerlo ma «la chiusura della campagna elettorale quella no, la faccio da solo, con gli abruzzesi, venerdì prossimo, a L’Aquila».
La mitezza che ne contraddistingue il carattere, punto su cui sono d’accordo sia amici che detrattori, è quella di sempre, per nulla intaccata dai riflettori che si sono accesi su di lui dopo la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna, come se nella percezione collettiva la vittima sacrificale del voto abruzzese si fosse trasformata d’incanto nell’uomo del possibile miracolo-bis, l’artefice di un’altra remuntada. E tutto questo perché «essere mite è un modo per non perdere del tempo, litigare e arrabbiarsi sono attività enormemente dispendiose, non fanno per me».
Comunque vada, Luciano D’Amico, un piccolo posto nella storia politica italiana del decennio, se l’è assicurato. È il primo candidato alle elezioni a essere sostenuto contemporaneamente da Elly Schlein e Matteo Renzi, Carlo Calenda e Giuseppe Conte, più tutti gli altri. Meglio ancora di Damiano Tommasi, visto che a Verona contava sul sostegno dei Cinquestelle che però non avevano presentato alcuna lista.
LUCIANO D'AMICO
Anni sessantaquattro, da Torricella Peligna (provincia di Chieti, mille anime votate al mito di John Fante, il papà dello scrittore americano era partito da qui), studi e residenza a Pescara, già rettore a Teramo, economista, accademico che tra il severo e il docile s’è fatto tra gli studenti la fama del docile perché, scandisce, «è come una missione che deriva dalla materia insegnata. Vede —, spiega — io sono professore di economia aziendale, primo esame del primo semestre del primo anno: dall’esito di questo esame spesso dipende l’indirizzo dell’intera vita di uno studente, quindi preferisco l’approccio morbido, fare tante prove prima dell’appello di modo che quando arrivi all’esame essere bocciato è molto più difficile».
(...) «Non sa quanto mi piacerebbe intestarmi questo miracolo», sorride, «in realtà sono l’ultima cosa che è arrivata. I partiti e i leader si sono ritrovati attorno a un programma per il futuro degli abruzzesi, il mio nome è arrivato dopo. Certo, ho accettato la sfida con grande piacere e con tanto orgoglio perché culturalmente appartengo al mondo progressista, della sinistra».
LUCIANO D'AMICO
Considerato dalle malelingue molto o troppo vicino al ras del centrosinistra abruzzese, l’ex sindaco di Pescara e poi governatore Luciano d’Alfonso, con cui condivide il nome di battesimo e una curiosissima assonanza nel cognome, D’Amico è consapevole di trovarsi in mezzo a un bivio: se vince, ovunque sarà tutto un «la sinistra riparta da D’Amico»; se perde, e fino a prima delle Regionali sarde avrebbe potuto perdere in santa pace, sarà l’uomo della mancata riscossa.
Poteva essere al massimo Ivan Drago; adesso, per il mondo progressista, è il Rocky che può abbattere Marco Marsilio, governatore uscente e grande amico di Giorgia Meloni. «Questa attenzione mi lusinga ma questa non è una faccenda nazionale», tiene a precisare lui. «Tutti i leader nazionali sono i benvenuti. Ma sanno che, quando si viene qua in Abruzzo, si parla dei problemi degli abruzzesi. E le garantisco che dopo gli ultimi cinque anni le criticità sono aumentate».
ELLY SCHLEIN E GIUSEPPE CONTE
Dice così, «criticità». Come se pesasse le parole anche quando l’asprezza dello scontro politico tende a diventare un riflesso condizionato. «Non mi piace gridare», sussurra. Ha visto e rivisto tutti i film di Ferzan Özpetek ma nessuno ha minacciato il primo posto della classifica dei suoi film preferiti, «The Hours, con Julianne Moore e Meryl Streep che in quel film sono inarrivabili». Capitolo musica: «Pink Floyd, Genesis, U2 con qualche piacevole incursione nella musica classica». Ché, con la polvere di John Fante, si mescola bene.
giuseppe conte alessandra todde elly schlein