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    ROLLING STONES IN BLUES - CINQUANT'ANNI DOPO GLI ARZILLI VECCHIETTI DEL ROCK TORNANO ALLE ORIGINI (NON PER NIENTE SI CHIAMANO COSÌ, DA ROLLIN' STONE, EPICO BRANO DI MUDDY WATERS) - JAGGER: “SIAMO STATI PROSELITI DEL BLUES” - KEITH RICHARDS: “ALCUNE DI QUESTE CANZONI IO NON ME LE RICORDAVO, MA LE MIE DITA SÌ"


     
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    rolling stones rolling stones

    Marinella Venegoni per la Stampa

    I Rolling Stones non sono come David Bowie o Leonard Cohen, capaci di sfornare capolavori fino alla fine del loro tempo: diciamo anzi che le ultime opere inedite sono state rapidamente dimenticate. E poiché sono anche sufficientemente in sé (cosa non secondaria, e nel loro caso eccezionale), lo scorso dicembre hanno preso una decisione storica. Entrati in una nuova sala di registrazione londinese con qualche pezzo nuovo in tasca, si sono subito resi conto, per dirla con le parole di ieri di Charlie Watts, «che scrivere canzoni è maledettamente difficile».

     

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    Tentando di pescare ispirazione nel passato, hanno cominciato a suonare il blues corroborante della loro gioventù. E han finito per andare avanti su quella strada, decidendo di non sfornare un album di controproducenti novità. Eccoli dunque cimentarsi sul vintage più nobile, pescando nella radice delle proprie radici: non per niente si chiamano così, da Rollin' Stone , epico brano di Muddy Waters. «Siamo stati proseliti del blues - ricorda ora Jagger -. Questo è un omaggio ai nostri preferiti, è come abbiamo cominciato, ed è quello che torniamo a fare».

     

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    Registrato in tre giorni, in una diretta da club, senza sovraproduzioni e diavolerie varie, Blue & Lonesome , con logo la linguaccia simpaticamente tinta di blu, prodotto anche da Don Was è un' antologia di pezzi doc dei '50/'60, scelti fra i più buoni e meno praticati del Chicago Blues, che esce il 2 dicembre e rischia persino di riportare gli Stones nelle hit, facendo riscoprire un genere coperto di nobili ragnatele che ben pochi sono in grado di togliere. Perché il blues non è mica per tutti.

     

    I quattro lieti e arzilli vecchietti miliardari non navigano nelle malinconie dondolanti raccontate in queste dodici canzoni, però nel ramo ci sanno fare. Con lo stile che conosciamo ma che qui li vede meno addomesticati e distratti, più volenterosi e in palla che alla centomillesima replica di Satisfaction.

     

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    Il repertorio è firmato da leoni del genere: Little Walter, Howlin' Wolf, Magic Sam, Willie Dixon e altri; l' aria è felicemente dondolante, spicca una performance dell' ospite Eric Clapton in Everybody Knows About My Good Things del '71, che mette un po' in ombra i pur bravi chitarristi della ditta; sempre suo il finale con I Can' t Quit You Baby del '56.

     

    Quello che lavora di più è Mick Jagger, che alterna canto e armonica, con esiti degni.

    Quello che più è contento è Keith Richards: «Alcune di queste canzoni non le abbiamo suonate dal tempo in cui ci esibivamo nei club. Io non me le ricordavo, ma le mie dita sì. Finalmente, dopo 50 anni, abbiamo fatto un album blues e Mick si è divertito.

     

    Ho tenuto le dita incrociate per paura che si stufasse». Con gli Stones, i soliti Darryl Jones al basso, e Chuck Leavell e Matt Clifford alle tastiere. Altro ospite, alle percussioni, è Jim Keltner in Hoo Doo Blues del '58.

     

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