Francesca Ferrazza per la Repubblica - Roma
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Le trattative per una possibile cessione di Dzeko ( insieme ad Emerson) al Chelsea e Nainggolan in Cina, trattengono sullo sfondo un Inter- Roma dal peso enorme per il proseguo del campionato giallorosso. I tifosi hanno quasi paura ad aprire i giornali o ad accendere i computer: il club di Trigoria non smentisce e non blocca indiscrezioni che rivelano come da Pallotta sia arrivato l' input per questa sessione di mercato di cedere uno o due big della rosa.
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Social e radio si ritrovano così da giorni sommerse dal malcontento di una tifoseria che proprio non se ne fa una ragione del perché sia necessario vendere a stagione in corso. «Gli interessa solo fare soldi, non vincere» una delle voci che si sono alzate, tra le tante preoccupate perchè è complicato concentrarsi per la trasferta di Milano con delle trattative così importanti aperte. «I giocatori sono distratti da questi discorsi, la società dovrebbe intervenire » , o ancora « si respira un' aria di smobilitazione quando c' è ancora da giocare tutto un campionato e gli ottavi di Champions » .
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Nella notte di giovedì sono apparsi altri due striscioni di contestazione, uno con un insulto rivolto a Pallotta, un altro indirizzato invece ai giocatori (" Domenica che famo?"), che inchioda comunque la squadra alle proprie responsabilità, a prescindere dalle manovre di mercato societarie. La rivalità con Spalletti, con i residui rancorosi per la sconfitta subìta nella gara d' andata, lasciano in queste ore completamente il passo a sorpresa e malessere da parte dei romanisti. Anche chi ritiene condivisibile un' eventuale cessione di Dzeko ( « Ha 32 anni e non riesce più a segnare » ), si blocca comunque per la tempistica scelta, che è quella di gennaio, a pochi giorni dalla chiusura di un mercato di riparazione che non consentirebbe di trovare sostituti di livello per ricostruire l' attacco in breve...
2. ROMA, LA GESTIONE E’ IN ROSSO
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Marco Iaria per la Gazzetta dello Sport
La Roma americana ha sempre recitato il mantra dell’autofinanziamento. Plusvalenze a ripetizione, i calciatori come asset da valorizzare. E in effetti le annunciate vendite di questa sessione si inseriscono in un solco già tracciato. Da quando i giallorossi sono stati acquistati dalla cordata statunitense, guidata (dal 2012) da James Pallotta il mercato, è stato irrinunciabile: tra il 2011-12 e il 2016-17 sono stati incamerati 301,2 milioni di plusvalenze (al netto delle minusvalenze), con il record di 94,8 della scorsa stagione, grazie all’iscrizione a giugno delle cessioni di Rüdiger, Salah e Paredes. Il guaio è quando le super-vendite non bastano.
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Anche l’ultimo bilancio si è chiuso in perdita: -41,7. Nel 2015-16 il rosso era stato inferiore (-14,6) ma negli esercizi precedenti il conto economico aveva avuto sbilanci annui di una quarantina di milioni. Questo perché la Roma non è che abbia badato solo a dismettere. Nel tentativo di agganciare il top della classifica e i premi Uefa, ha investito in cartellini (lo ha fatto pesantemente anche la scorsa estate) e ha ingrossato i costi di gestione, in primis gli stipendi che sono passati dai 103 milioni del 2011-12 ai 155 del 2015-16 per scendere a 145 nel 2016-17. Insomma, i conti spesso non sono tornati. Anche perché il fatturato dipende eccessivamente dai proventi della Champions e, in attesa del nuovo stadio, il segmento commerciale non ha mai dato i frutti sperati da Pallotta, fin troppo esigente sulla valorizzazione del main sponsor, che manca dal 2013.
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FABBISOGNI Per tenere la barra dritta in questi anni è stato fatto ricorso, oltre che al trading, alla leva finanziaria, con i beni giallorossi dati in pegno a Goldman Sachs, in cambio di 175 milioni, saliti nel frattempo a 230. E gli azionisti, a più riprese, hanno dovuto mettere mano al portafogli: versati in conto capitale 50 milioni nel 2011-12, 27 nel 2012-13, 23 nel 2013-14 e 70 (più 18 di prestiti) nel 2016-17. A ottobre l’assemblea ha deliberato un aumento di capitale da 120 milioni ma una novantina erano stati già sborsati dalla proprietà. Insomma, servono sempre soldi. Non a caso gli amministratori, prevedendo un risultato 2017-18 in significativo miglioramento, mettono per iscritto che "i fabbisogni finanziari del Gruppo saranno coperti attraverso i flussi finanziari generati dall’attività ordinaria e dall’ulteriore ricorso all’indebitamento finanziario, oltre che, se necessario, dal realizzo di asset aziendali, in particolare riferiti ai diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori, il cui valore di mercato complessivo è ampiamente superiore al valore contabile e rappresenta una solida base di sicurezza per la continuità aziendale". Quando la cassa chiama il mercato è un’ancora di salvezza. Peraltro, i grattacapi della Roma non si limitano alle necessità finanziarie. C’è il fair play Uefa da rispettare. Il club ha sforato i parametri del break-even con il pesante rosso dell’ultimo bilancio e rischia ulteriori sanzioni, imponderabili dal momento che è già sottoposto al settlement agreement. In primavera si saprà. Una gestione giudiziosa del mercato invernale – almeno questa è la speranza dei dirigenti - potrebbe ammansire i giudici di Nyon. Se poi non si dovesse centrare la qualificazione alla Champions, il quadro peggiorerebbe ulteriormente.
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3. TROPPI ACQUISTI SBAGLIATI
Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
È giusto parlare molto di mercato, ma con memoria. L' Inter in un anno solare ha cambiato per intero i tre di centrocampo e ora si appresta a cambiare di nuovo.
Due anni fa giocavano Medel, Melo, Kondogbia, Guarin, Brozovic, qualche volta Gnoukouri. L' anno dopo sono stati aggiunti Banega, Joao Mario e Gagliardini. L' estate scorsa Vecino e Borja Valero.
Dei sei di centrocampo che giocavano con Mancini sono stati eliminati tutti tranne Brozovic. In totale nel ruolo si sono alternati ben 11 giocatori di cui adesso forse solo uno è destinato a sopravvivere come titolare.
Nella Juventus è andata anche peggio: due stagioni fa c' erano Pogba e Pereyra, titolare alla prima giornata, poi Sturaro, Lemina, Hernanes, Marchisio e Asamoah. Due anni dopo è rimasto solo Marchisio. Con Khedira, Pjanic, Marrone e Rincon, più i nuovi acquisti Matuidi e Bentancur, i centrocampisti utilizzati in due campionati e mezzo sono stati 13 di cui quasi la metà tagliati. Il Milan ne ha utilizzati 15, quelli tagliati sono stati 9.
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Si può andare avanti a lungo, abbiamo preso solo le tre più grandi società, tre di quelle che non comprano chi possono, ma di solito chi vogliono. Eppure l' errore è grande per tutti. Complessivamente, dei 23 centrocampisti in rosa alla prima giornata di due mercati e mezzo fa, ne sono stati eliminati 16, quasi il 70% di ripensamenti solo nelle tre più grandi società. Questo ripropone alcuni vecchi dubbi abbastanza fondamentali.
Il primo è chi sceglie chi comprare. La risposta cade sui direttori sportivi e i loro collaboratori. La sapienza della scelta cala dall' alto, raramente arriva all' allenatore, chiunque sia. Gli si chiede un consiglio finale che è quasi sempre accettato. Salvo cambiare tutto in corso d' opera.
Perché? Questo è il secondo grande problema, il più duro da capire e quasi sconosciuto al popolo. I tecnici non conoscono i giocatori stranieri, nella stragrande maggioranza non si prendono la responsabilità di indicare nomi incerti. Oppure si innamorano di giocatori visti in campionato in due partite. È essenzialmente per evitare questa fuga all' indietro che in Inghilterra i tecnici sono manager, devono cioè costruirsi da soli la loro squadra. Serve in sostanza una competenza internazionale che adesso non è vasta, si basa su poche osservazioni dirette, il resto è colpo d' occhio, istinto pagato a prezzi carissimi e quasi sempre smentito. Preferiscono siano gli addetti al mercato a correre nei corridoi oscuri dei cambi e degli acquisti. La richiesta massima è la qualità, vogliono giocatori buoni di cui non sanno quasi niente, né inclinazioni personali, né costi, né spirito di squadra.
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Tutto avviene in fretta, una pezza dopo l' altra. Ma la qualità ha uno spettro molto ampio. Che dice per esempio adesso Spalletti di Rafinha fermo da otto mesi, con 40 giorni di allenamento specifico? È lui quello che lo ha chiesto? O si va dietro al possibile nella speranza che un giocatore in più sia semplicemente meglio di uno in meno anche se costerà più di 30 milioni.
I nostri tecnici sono bravissimi gestori di gruppi e di partite, sanno inventare ma non sanno scoprire. Non si può chiedere di rifare un reparto a ogni mercato, per giunta con prestiti e rischiando su giocatori colpiti duramente. È questa approssimazione che accontenta i tifosi ma inonda di debiti e problemi una società allontanando poi il giocatore vero che serviva. Così spesso ottengono i risultati di prima. In sintesi, la nostra migliore categoria è part time, sa fare due cose, ma non quella decisiva. È una cosa che non può durare.
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