Paolo Baldini per il Corriere della Sera
Ron, mi dica di lei una cosa che nessuno conosce.
«Che sono smemorato. La memoria è sempre stata il mio lato debole».
Racconti
RON ROSALINO CELLAMARE
«Da bambino prendevo le medicine per migliorare la concentrazione. E non riuscivo a mettermi in testa le poesie. Un incubo. Ore con mia madre a studiare. La mattina a scuola, tutto cancellato, tabula rasa . La maestra mi guardava negli occhi: "Rosalino ripeti Davanti San Guido !".Quattro righe e calava il vuoto. Un altro incubo sono i testi delle canzoni durante i concerti. Sì, anche quelli di cui sono autore».
Come risolve?
«Devo avere tutto scritto davanti a me. Una specie di "gobbo" a cui aggrapparmi in caso di necessità. Il racconto a braccio, a ruota libera mi viene facile, mi è congeniale. Ricordare, invece, è una fatica. Dovuta a una forma d'ansia: la paura di sbagliare. Infatti, sbaglio. Sono talmente distratto che non riesco a evitare gli errori anche se sto leggendo. Reinvento le parole, a volte. E talvolta miglioro il risultato finale. Sono fatto così, non so che fare...».
Lei che ragazzino era?
RON ROSALINO CELLAMARE
«Non sono mai stato un ragazzino nel senso comune del termine. La mia carriera è iniziata troppo presto. Nel 1970 ero al Festival di Sanremo a cantare Pa' diglielo a ma' . Non ho vissuto l'adolescenza e ho sempre lavorato con persone più grandi di me: Sergio Bardotti, Lucio Dalla, Gianfranco Baldazzi. All'inizio, ero in soggezione. Mi dicevo: abbi pazienza, Rosalino, un giorno sarai anche tu come loro».
Lei è un timido?
«Sono un maturo signore di 68 anni che si conosce poco, coltiva dubbi e incertezze. E non sopporta di essere definito triste».
Torniamo al ragazzino di un tempo.
«Timido sì, ma terribile. Sui 12-13 anni, facevo certi scherzi agli amici... Un po' Pinocchio e un po' Lucignolo. Stavo per ore sotto il letto. Immobile. Guardavo la rete, il materasso. Ero sereno.Pensavo. A scuola andavo malissimo. Un asino pazzesco. I miei genitori erano preoccupati per quel figlio un po' stranetto . Così mi misero in collegio, a Saronno. Studiavo da geometra».
DALLA RON DE GREGORI
Che Italia ricorda?
«Vengo dalla provincia: Garlasco, Pavia, dove vivo ancora oggi. Lì ho fatto elementari e medie. Sono nato in un cortile con tante case, famiglie, terrazzi, fiori. Tutti erano un po' mio padre, un po' mia madre, un po' i miei fratelli. Non ci si sentiva mai soli. Un mondo semplice: si mangiavano le cose della terra, dell'orto. Papà era un commerciante di olio d'oliva.
I Cellamare sono originari di Trani, in Puglia. Mio nonno venne al Nord, a Milano, a 18 anni. Mia nonna era una mondina, andava alla fabbrica del tabacco, lavorava sempre, aveva tre figli. Era contenta di quello che faceva, si accontentava. L'andavo a trovare quasi tutti i pomeriggi. Mi preparava il tè con le ciambelle di Pavia, i brassadè , una ricetta di oltre cent' anni fa. Ricordo i suoi racconti sulla guerra, anzi sulle due guerre. Se non ci fosse stata lei, non avrei scritto Attenti al lupo ».
Si spieghi.
«Andandola a trovare mi accorsi che la casa aveva una finestra più piccola. Mi sedetti al pianoforte e scrissi: C'è una casetta piccola così / Con tante finestrelle colorate / E una donnina piccola così / Con due occhi grandi per guardare.
RON DALLA 1
In origine la canzone si chiamava proprio La casetta. Mi piaceva ma la sentivo troppo personale. Decisi che non sarei stato io a cantarla. Pensavo a Dalla. O a Celentano: mi sembrava avesse la tenerezza giusta. Lucio venne da me mentre preparavo il mio album. Mi chiese: "La fai, Rosalino?". "No", risposi. "Allora la faccio io: con questa, vendiamo un milione di dischi". Aggiunsi: "Sei matto, il solito sognatore!". Aveva ragione lui. Di dischi ne abbiamo venduti ben di più».
La leggenda parla di un'insegnante che la mette sulla strada della musica, la professoressa Adele Bartoli, genovese, severissima.
ron lucio dalla 4
«Insegnava pianoforte e canto. Una donna d'altri tempi. Mio fratello prendeva lezioni. Io andavo con lui. Lei mi notò: fammi sentire qualcosa. Le devo una libertà espressiva impagabile: levava i difetti più vistosi, non gli elementi speciali, quelli che ti rendono unico. Mi dette l'occasione di fare i concorsi per voci nuove. Cantavo brani come 24 mila baci . Il più importante fu la Fiera della Canzone Italiana di Milano».
Fu così che arrivò, in un lampo, all'Rca.
«Venne da me un certo dirigente. Volle conoscere i genitori. Mi fece un po' di domande. Un anno dopo, la convocazione a Roma: c'era un cantautore che doveva farmi ascoltare un brano "molto adatto a me". Presi il treno con papà. Arrivati, ci fecero attendere per ore.
ron lucio dalla
Nella sala d'aspetto, a un certo punto, entrò un tipo eccentrico, con una tutina stretta di leopardo. Si presentò a mio padre: ciao, Nì. Era Renato Zero. Non lo conoscevo: allora ascoltavo solo musica americana, Crosby Still & Nash, Cat Stevens, James Taylor. Papà mi guardò storto: voleva scappare. "Questa è una gabbia di matti", mi disse».
Invece?
«Di lì a poco, arrivò il cantautore. Era ingessato, aveva appena avuto un incidente con la moto sul Raccordo Anulare. Era Lucio Dalla. La canzone che aveva da propormi era Occhi di ragazza , davvero bellissima, che fu più tardi portata al successo da Gianni Morandi. Avrei dovuto cantarla a Sanremo in coppia con Sandie Shaw, la cantante scalza, ma le giurie la ritennero non idonea. Così ripiegai su Pa' diglielo a ma '».
Possiamo dire che il destino si compì in quell'istante e nacque allora l'universo musicale delle grandi anime, di Joe Temerario, dei cuori viaggianti?
lucio dalla ron
«Eh eh eh. Un giorno molto tempo dopo venne da me Morandi, diventato un amico. Mi prese da parte e chiese: ma quella canzone di Lucio che dovevi cantare era Occhi di ragazza ? Sai, lui m' aveva detto che l'aveva scritta per me».
Dalla era famoso per trasfigurare la realtà.
«Diciamo pure che era un gran bugiardo. Nel senso buono, eh. Un ottimista che amava confezionare i suoi racconti, immergerli in una sorta di realtà aumentata. Inseguiva la bellezza, la narrazione fantastica. Gli piaceva rendere la vita più interessante di quello che era. Come Fellini. Ogni volta, uno show, un esercizio di creatività. Diceva di aver fatto un viaggio in treno con Totò in cui avevano riso senza fermarsi un istante, di aver incontrato gli ufo e di averne visto uno che avanzava verso di lui e poi, improvvisamente, aveva cambiato rotta».
lucio dalla ron
Il momento peggiore della sua carriera?
«I due anni di Covid sono stati un tormento. Passavo davanti al pianoforte e alla chitarra e scappavo via. Testi zero. Musiche pessime. Buttavo tutto. Ero giù di morale. Mi teneva vivo l'idea di tornare prima o poi a fare i concerti».
Parliamo degli Anni Settanta.
«Ero appena salito in paradiso e arrivò il precipizio. Con Il gigante e la bambina avevo assaggiato il successo. Quello vero, improvviso, che fa girare la testa. Ed ecco gli Anni di piombo, l'epoca dell'impegno e dei cantautori. La cosiddetta musica leggera era considerata meno di un rottame. Vennero anni di buio totale. Mi misi a suonare per gli altri, non mi sentivo sminuito. Non ho mai pensato: io sono Ron e non posso accompagnare De Gregori o Venditti. Ma dentro di me mi chiedevo chi avesse spento la luce. Tornare indietro mi sembrava un fallimento».
Come ne uscì?
ron mara venier rita dalla chiesa barbara d urso e katia ricciarelli
«Grazie al tour Banana Republic con Dalla & De Gregori. Un evento che segnò l'inizio degli Anni Ottanta. Ogni sera, sold out . Prendevo tanti fischi. Tutti aspettavano Lucio e Francesco. Io proponevo I ragazzi italiani. Il pubblico non ne voleva sapere, la maggior parte mi aveva dimenticato. Ma io ero felice. Lì nacque il progetto Una città per cantare e io ripresi a pieno ritmo».
Ha molti amici nel mondo della canzone?
«Tosca, ad esempio. Insieme abbiamo vinto a Sanremo nel 1996 con Vorrei incontrarti tra cent' anni. Ma qui vorrei ricordare un musicista che non c'è più, Ivan Graziani. Con lui e Goran Kuzminac feci un tour di successo e un Q-Disc subito dopo Una città per cantare . Fummo interrotti dal terremoto dell'Irpinia del 1982. Ivan era bravissimo, generoso. In compagnia, uno spasso. Parlava e faceva battute imitando la voce di Oreste Lionello, il doppiatore di Woody Allen. Musicalmente, eravamo due opposti. Eppure, tra noi si creò una chimica speciale: funzionò».
ron mara venier barbara d urso rita dalla chiesa
L'incontro più importante?
«Con Jackson Browne, Lou Reed e Paul Anka negli Stati Uniti. Ero lì per ricaricare le pile. La Rai lo seppe e mi chiese delle interviste vip. Scelsi Lou Reed. Presi un appuntamento, aspettai una settimana. Quando entrai nella sede della Rca con la troupe la segretaria mi avvertì che Lou la sera prima aveva spaccato una bottiglia in testa a un tizio con cui aveva avuto da dire e che, quindi, si stava riprendendo. Ci spaventammo. Quando arrivò, I 'm sorry , si mise a nostra disposizione. Mi raccontò della musica americana tutto quello che da piccolo avevo sognato».
Negli Anni Settanta ebbe anche una promettente parentesi con il cinema. Due titoli: «L'Agnese va a morire» di Giuliano Montaldo e «In nome del Papa Re» di Luigi Magni.
ron
«Il cinema mi ha aiutato in un periodo nero. Ma non ho mai pensato che potesse sostituire la musica. Ricordo i buoni consigli di Nino Manfredi sul set di In nome del Papa Re . Di fronte alle mie ingenuità d'attore mi suggeriva di recitare con gli occhi. Il debutto avvenne però con il licenzioso Lezioni private in cui interpretavo un ragazzino innamorato dell'insegnante di musica Carrol Baker, bellissima e molto materna». Ron, lei ha appena celebrato cinquant' anni di carriera con l'antologia «Non abbiam bisogno di parole» (due doppi cd, 67 brani). In estate ha in programma un ampio tour con un'orchestra sinfonica e in settembre proporrà un album di inediti comprendente il singolo, uscito da poco, «Più di quanto ti ho amato».
Che cosa chiede ancora alla musica?
ron lucio dalla 2
«Di non annoiarmi mai».
DE GREGORI MANNOIA RON DANIELE lucio dalla ron DALLA RON DE GREGORI ron (2)