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    ADDIO GLOBAL – SECONDO L’ECONOMISTA NOURIEL RUBINI LA GUERRA COMMERCIALE USA CINA NON POTRÀ CHE INTENSIFICARSI: “È L’INIZIO DELLA DE-GLOBALIZZAZIONE E DELLA BALCANIZZAZIONE DELL’ECONOMIA. NON C’È DA STUPIRSI SE I MERCATI SONO TORNATI A VOLER RIDURRE I RISCHI” - ALTRO CHE LA RUSSIA, I MISSILI, I RUBLI, LA VERA GUERRA FREDDA È CON PECHINO. MA L’ITALIA DA CHE PARTE STARÀ? – COMMERCIO, TECNOLOGIA, PROPRIETÀ INTELLETTUALE, VIA DELLA SETA: TUTTE GLI SCONTRI TRA I DUE GIGANTI


     
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    Vittorio Da Rold per https://it.businessinsider.com

    ROUBINI ROUBINI

     

    Che succede tra Usa e Cina? Secondo Nouriel Roubini, l’economista americano che ha previsto la crisi dei muti subprime Usa del 2007, ritiene che “la guerra commerciale-tecnologica tra USA-Cina si intensificherà”. Per Roubini “questo è l’inizio della de-globalizzazione e della balcanizzazione dell’economia globale e del disaccoppiamento (decoupling) tra Stati Uniti e Cina.

     

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    Quindi non c’è da stupirsi se i mercati siano tornati a voler ridurre i rischi. Anche l’allentamento della Fed non può sostenere i mercati colpiti da un doppio shock negativo dell’offerta: guerra commerciale e tecnologica ad un tempo!”. Un eccesso di pessimismo da parte dell’economista che si è laureato con summa cum laude alla Bocconi di Milano prima di specializzarsi alla Harvard University e diventare uno degli economisti più ascoltati del pianeta? Non proprio perché la sua visione pessimistica o semplicemente realistica non è isolata nel mondo economico americano.

     

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    Il presidente Donald Trump ha deciso di rinviare alcuni dazi su beni cinesi al 15 dicembre, ma la tensione resta alta mentre Germania (dove il Pil del secondo trimestre frena dello 0,1% rispetto al trimestre precedente) e Cina subiscono i primi colpi di rallentamento economico di questa guerra dei dazi voluta da Washington. Le borse globali reagiscono con cali profondi e nei bond Usa appare la “curva invertita” dei rendimenti tra quelli a due anni e dieci anni, segno inequivocabile di recessione in vista entro 18-24 mesi.

    ROUBINI ROUBINI

     

    Secondo il Ceo di Axios Jim VandeHei, tutti i segnali indicano la nascita di una “Guerra fredda” come quella avvenuta tra URSS e Usa, che durerà decenni, ma questa volta con la Cina. Un cambiamento vorticoso delle alleanze, della politica e delle economie globali è davanti a noi? Pechino che nel 1989 ha spazzato via con la forza le proteste di Piazza Tienanmen si pone come campione alternativo di un sistema a partito unico autoritario e ad economia di mercato contro le “obsolete” liberal-democrazie occidentali (per usare la definizione del presidente russo Vladimir Putin in una recente intervista concessa al Financial Times  attaccate a loro volta da populismi e sovranismi al loro interno.

     

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    In questa chiave la guerra commerciale tra Washington e Pechino non sarebbe altro che una piccola scaramuccia di una battaglia molto più grande e più ampia in corso per il dominio globale. E, per la prima volta, si può vedere la possibilità del decoupling (disaccoppiamento dei destini e delle economie) tra Cina e America, creando due sistemi globali distinti e rivali e strutture di potere antagoniste fra loro come quelle tra Russia sovietica e capitalismo occidentale ai tempi della prima Guerra fredda.

    Bill Emmott Bill Emmott

     

    Il quadro generale

     

    Bill Emmott, l’ex direttore dell’Economist, invece ritiene nel suo libro “Rivals: How the Power Struggle between China, India and Japan will Shape our Next Decade“ del 2008 che il destino e il benessere dell’Asia e quindi del mondo sarà il prodotto di rivalità o accordi tra tre potenze asiatiche: Giappone, Cina e India, in un quadro più dinamico e più concentrato sull’area del Pacifico. Una visione che forse oggi trova pochi sostenitori.

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    Ma torniamo alla rivalità tra Cina e Usa. Oltre al commercio, le due superpotenze sono in concorrenza su proprietà intellettuale e tecnologia, influenza politica nei paesi in via di sviluppo attraverso assistenza economica (China’s Belt and Road Initiative), accordi diplomatici, istituzioni multinazionali (Asia Infrastructure Investment Bank) e vendite di armi.

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    Inoltre Pechino gode di un sistema molto vantaggioso nella WTO (World Trade Organization) che oggi non ha più senso mantenere visto che la sua economia non è affatto in via di sviluppo. Il presidente americano Donald Trump ha chiesto di modificare il 26 luglio 2019 il sistema di benefici di cui gode la Cina all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio ma finora senza molto successo perché le elites occidentali spesso sono state conniventi e insensibili ai rischi sociali di queste disparità.

    donald trump e i dazi contro la cina donald trump e i dazi contro la cina

     

    xi jinping xi jinping

    Una delle manifestazioni più chiare di questa nuova rivalità tra Pechino e Washington la troviamo nella corsa alla supremazia tecnologica: Internet si sta “dividendo in due”, come diceva recentemente il Wall Street Journal, e le aziende giganti degli Stati Uniti e della Cina stanno lottando per ottenere vantaggi, nascosti e palesi, in tutto il mondo. A fermare questa corsa al monopolio globale in alcune tecnologie c’è solo l’azione solitaria della Commissaria alla Concorrenza europea guidata oggi fino a fine ottobre dalla liberale danese, Margrethe Vestager.

     

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    Bill Bishop, un americano che ha vissuto a Pechino dal 2005 al 2015 e autore del blog “Sinocism” ha detto a Axios che il presidente Xi Jinping e il suo team hanno concluso che la Cina è decisamente troppo dipendente dagli Stati Uniti per la tecnologia e l’agricoltura. Quindi hanno accelerato gli sforzi per diventare autosufficienti, diversificando anche la loro dipendenza dagli Stati Uniti. In questo senso è da inquadrare l’interesse cinese per l’Africa e i suoi immensi territori agricoli e i rapporti con alcuni paesi dell’America latina.

     

    La Cina accusa l’America

     

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    Ora, la Cina sta accusando Washington per le sue tensioni economiche e interne: il New York Times riferisce da Pechino che “l’ostilità nei confronti dell’America”, da parte di funzionari cinesi e organizzazioni di stampa statali, “si è intensificata … insieme a due dei grandi problemi della Cina: un’economia in rallentamento complicata dalle tensioni commerciali e dalle turbolenze a Hong Kong che non sembrano trovare una soluzione”.

     

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    “Anche Pechino non sembra porre fine alle sue controversie con Washington rispetto al colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, che è stato inserito nella lista nera dall’amministrazione Trump come una minaccia alla sicurezza”, ha aggiunto il Times.

     

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    Che cosa succederà a breve? Nel 1989 il politologo americano, Francis Fukayama, nel suo famoso e fortunato libro ”The end of the History and the Last Man, la fine della storia e l’ultimo uomo” teorizzava la vittoria della liberal democrazia su ideologie rivali come le monarchie ereditarie, fascismo, e comunismo utilizzando il termine storia nel senso hegeliano e marxista, cioè di evoluzione storica del pensiero verso sistemi politici più evoluti delle società. Mai previsione fu poi così clamorosamente smentita dai fatti successivi.

     

    La Caduta del Muro di Berlino 30 anni fa

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    A novembre saranno trascorsi 30 anni da quando il Muro di Berlino cadde il 9 novembre 1989. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica per la maggior parte del tempo, gli Stati Uniti non hanno avuto un vero rivale per la supremazia globale e non hanno saputo farne buon uso. Ora, l’America che sembra affascinata dal rifiuto del multilateralismo, sta fronteggiando un possibile declino del “secolo americano” secondo la famosa definizione dell’editore di Time, Henry Luce, ed è in lotta in una sfida che potrebbe addirittura perdere. Washington ha una fitta rete di alleanze con sessanta paesi nel mondo senza paragoni mentre Pechino può contare solo sulla Corea del Nord. Eppure Washington sembra preferire l’azione diplomatica isolata dell’America First, del prima l’America ma in solitaria.

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    Gli Stati Uniti hanno ritenuto che la liberal democrazia e la loro supremazia avessero vinto per sempre. Non era così come abbiamo visto poco prima con Francis Fukuyama: oggi siamo di fronte a una lotta per l’egemonia globale che potrebbe durare qualche decennio proprio con la dirigenza cinese che non esita a cambiare la propria costituzione e il divieto dei due mandati quinquennali al potere per dare più tempo al presidente Xi Jinping di affrontare le sfide senza l’assillo del rinnovo del mandato che diventa senza limiti. Un nuovo Mao al potere a Pechino?  Non proprio perché il Grande Timoniere dominava una Cina contadina e arretrata, mentre Xi Jinping decide i destini della seconda economia del mondo e della prima potenza commerciale con mire egemoniche globali. Senza contare che Washington sembra più preoccupata di dividere gli alleati Nato dell’Unione Europea minacciando dazi e sostenendo la Brexit senza accordi piuttosto che di consolidare un asse transatlantico che potrebbe fare da freno alle mire cinesi di supremazia mondiale.

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