Jaime D’Alessandro per la Repubblica
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I veri hacker giocano a calcio e guadagnano grazie a stangate da milioni di dollari. Acquistano villette monofamiliari, comprano suv, tengono a portata sempre un po' di contanti. Almeno finché l' Fbi non bussa alla loro porta e li incrimina per frode informatica con la prospettiva di passare fino a 20 anni in galera.
Ricky Miller, 24 anni, di Arlington in Texas, se l' è cavata con meno. Ha ammesso la colpa, collaborato. Gli hanno dato una multa da un milione e mezzo di dollari e dopo qualche mese ora è stato rilasciato. Era parte di un gruppo di quattro coetanei tanto abili da aggirare i sistemi di sicurezza della Electronic Arts per rubare la valuta digitale usata nel videogame di calcio Fifa. In due anni avevano accumulato fra i 16 e i 18 milioni di dollari (circa sei quelli recuperati). E avrebbero continuato se non avessero iniziato a spenderli.
HACKER
«Avevano trovato una vera economia digitale e sapevano come alterarla», commenta Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica presso l' Università degli Studi di Milano. «Da noi avrebbero rischiato massimo cinque anni. Alla fine è come entrare in un casinò barando». Ed uscire con un bottino milionario avendo avuto l' intuizione di puntare non a una banca ma a un videogame.
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La mente dell' operazione, Anthony Clark, si era comprato la casetta al 14614 Montevideo Drive, Whittier, cittadina da 85 mila anime nel sud della California pagandola 840 mila dollari e attirando l' attenzione della polizia federale. A giorni affronterà il giudice e con lui Nicholas Castellucci e Eaton Zveare.
Nella modalità Ultimate Team di Fifa, le monete virtuali servono per acquistare giocatori più forti, ma se ne ottengono poche per ogni partita. I quattro avevano scritto un software che ingannava il sistema. Era come se giocassero migliaia di partite in contemporanea. Poi rivendevano le Fifa Coins ad altri giocatori.
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Qualsiasi videogame online che permette lo scambio di beni virtuali fra due giocatori può portare alla nascita di un mercato parallelo. Nelle terre virtuali di World of Warcraft, frequentate da cinque milioni e mezzo di giocatori, capita spesso di imbattersi in figure che si aggirano da sole armate di piccone.
Sono i personaggi usati da migliaia di cinesi che seduti per ore e ore in qualche internet café, vengono messi a cercare oro da convertire in monete virtuali. Le vendono sui siti che offrono servizi ai loro coetanei occidentali. "Consegna in un' ora", reclamizzano. Basta dirgli su quale server ci si trova e quale nome porta il proprio avatar.
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Il corriere è puntuale: si presenta con un inchino e con un inchino va via. Il giocatore felice ora potrà comprare quell' armatura nuova che altrimenti gli sarebbe costata tempo e fatica. Le case di sviluppo che hanno creato questi universi scoraggiano transazioni del genere ma non riescono ad evitarle. Stime attendibili non ce ne sono. Il mercato ufficiale dei videogame online per console e pc genera otto miliardi di dollari l' anno dei quali 243 milioni di euro sono italiani.
«Il sistema che abbiamo creato può ospitare migliaia di persone in un unico cyberspazio. Un mondo simulato che si evolve in tempo reale nel quale le persone possono comunicare, giocare, vivere avventure, innamorarsi», dichiarò nel 1987 Chip Morningstar, creatore di uno dei primi universi online chiamato Habitat pubblicato dalla LucasArts. Ma non immaginava che anche le truffe milionarie sarebbero state della partita.