Maurizio Caverzan per La Verità
sacchi sarri guardiola
Buongiorno mister Sacchi: rimane convinto che la Spagna vincerà il mondiale anche dopo l' esonero del commissario tecnico Julien Lopetegui accordatosi con il Real Madrid?
«Questo potrebbe essere un problema, anche se il calcio spagnolo ha uno stile e quindi, partendo da questo, è più facile trovare le soluzioni».
Lei come si sarebbe comportato al suo posto?
«Quando ho firmato un contratto o dato la parola, l' ho sempre mantenuta».
Parlare dei Mondiali di Russia che s' inaugurano oggi con Arrigo Sacchi, storico allenatore del Milan e della Nazionale, è come addentrarsi in un altro pianeta. Niente tifo e partigianerie, solo cultura sportiva, valori, meritocrazia. E, soprattutto, cultura della bellezza. Sacchi sarà la punta di diamante della squadra dei canali Mediaset per commentare i match di Russia 2018.
Anche a Mosca vinceranno il collettivo e l' equilibrio?
«A parte qualcuna che possiede uno stile, le squadre sono molto vicine nei valori tecnici.
Di solito vincono quelle che riescono a essere più squadra.
Come avvenne nel 2014 quando la Germania strapazzò il Brasile che aveva i giocatori più titolati e costosi».
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Alla Spagna e alla Germania manca la stella. Lionel Messi, Cristiano Ronaldo e Neymar non riusciranno a fare la differenza?
«Riescono a farla nelle squadre di club che, tuttavia, non sono basate solo su di loro, ma sono sinergiche. Il giocatore di qualità si giova della qualità del collettivo: quanto più è bravo, tanto più si avvantaggia della squadra. In Italia ci scordiamo spesso che il calcio è uno sport di squadra».
Saranno Mondiali affascinanti anche senza l' Italia?
«Direi che l' Italia ha raramente esercitato fascino. È stata prevalentemente una Nazionale concreta, solo qualche volta è riuscita a unire il bel gioco al risultato. In Russia si giocherà in condizioni climatiche migliori rispetto ad altri mondiali e quindi i giocatori potranno esprimersi meglio».
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Inettitudine di Giampiero Ventura a parte, la causa dell' assenza dell' Italia è remota o prossima?
«Remota. Non solo calcisticamente, stentiamo a rinnovarci e a mettere al centro i valori».
Di che valori parla?
«Del merito, per esempio. Della bellezza, dell' armonia, del coraggio e dello spettacolo che contribuiscono ad aumentare la didattica e a mettere al centro il gioco e le idee. La tragedia è quando non si hanno né gioco né idee».
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L' Italia non ha nemmeno grandi campioni: perché?
«Perché investe sempre meno nei settori giovanili. Il Real Madrid e il Barcellona investono da sole nei vivai più di tutta la Serie A. Il secondo motivo è che, in prevalenza, pensiamo a vincere comunque, a prescindere dal modo. Cominciando da noi allenatori, proseguendo con la stampa e finendo con i tifosi, commentiamo il risultato e non come lo si raggiunge.In Spagna una partita brutta resta brutta, da noi chi vince senza meritare ha dimostrato di essere cinico. Io non so nemmeno cosa voglia dire».
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Cosa pensa quando vede che nelle nostre squadre giocano uno o due calciatori italiani?
«Mi dispiace perché sono un italiano convinto. Nel mio piccolo ho sempre cercato di dare una impronta, di avere tanti giocatori italiani. Il Real Madrid è una grande squadra, ma il presidente è costretto a comprare giocatori spagnoli perché il pubblico lo richiede.
Lo stesso avviene al Barcellona».
Prima gli italiani anche nel calcio?
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«Sempre prima di tutto il merito. Però si dovrebbe investire di più nei settori giovanili, i corsi per allenatori a Coverciano dovrebbero durare un anno, non 32 giorni come avviene ora. Siamo così confusi che non siamo ancora riusciti a definire il calcio».
Non è uno sport?
ancelotti e sacchi
«Se lo fosse avrebbe regole ferree e non ci sarebbero tanti scandali. Nel calcio italiano, la regola dominante è: "Primo, non prenderle". Difendersi esprime una filosofia pessimista. Credo che, in tutti i campi si impari di più a costruire che a distruggere».
Il bel gioco per lei era un' ossessione?
«Ovunque, più lavori bene più hai possibilità di successo.
Se hai giocatori di qualità discreta ma non eccezionale e dall' altra parte c' è un club con giocatori che su tre tiri fanno due gol, devi applicarti di più per compensare quello che l' altra squadra fa con minor fatica. Per vincere, la società è più importante della squadra che, a sua volta, è più importante dei singoli. Oggi abbiamo invertito questi valori».
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L' allenatore è un mestiere che non si può interpretare se non ossessivamente?
«Credo che contino molto l' amore e l' entusiasmo. Cesare Pavese diceva che non c' è arte senza ossessione».
Parlando di bel gioco, che cosa pensa del fatto che Maurizio Sarri potrebbe restare disoccupato?
«Sarebbe un errore madornale per il calcio italiano e anche per Sarri medesimo».
Ridirebbe che a Napoli è difficile praticare il pressing?
«Volevo dire che l' aspetto sociale e la storia contano. Per noi italiani è difficile giocare all' attacco perché l' ultima volta che abbiamo attaccato è stato con i Romani 2.000 anni fa.Da allora l' Italia è sempre stata territorio di conquista. Il nostro peccato originale è che non abbiamo mai interpretato il calcio come i fondatori l' hanno pensato: uno sport di squadra e offensivo. A parte qualche squadra che ha l' orgoglio di fare il suo gioco con lealtà e coraggio, in Italia pensiamo il calcio prevalentemente come uno sport individuale».
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Ancelotti è tornato in Italia, Conte è in bilico al Chelsea, Montella e Prandelli sono stati esonerati: la grande stagione degli allenatori italiani all' estero sta tramontando?
«No. Ancelotti è venuto in Italia perché l' ha affascinato l' idea di Napoli. Conte al primo anno ha vinto la Premier League e poi la Coppa inglese».
Chi è il più grande calciatore che ha allenato?
«Tutti quelli che sono stati eroi. Romain Rolland diceva che gli eroi sono coloro che fanno tutto ciò che possono».
E il più grande di sempre?
«Possiedo un pallone con le dediche di tre campioni. Li cito in ordine alfabetico: Alfredo Di Stefano, Diego Armando Maradona e Pelè».
Cosa direbbe a uno che tra Pelè e Maradona stravede per Johan Cruijff?
«Che era un grande giocatore, subito lì».
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Il suo Milan è stato considerato dall' Uefa come la squadra più forte di tutti i tempi. Con le tre Champions consecutive del Real Madrid è un giudizio da rivedere?
«Loro valutano il modo di giocare, non il risultato. La stessa Uefa mi ha messo tra i dieci allenatori che hanno contribuito all' evoluzione del calcio. Quando me l' hanno comunicato, la prima cosa che ho fatto è stata chiamare Berlusconi per ringraziarlo. Ho avuto la fortuna di lavorare per club pazienti: Fusignano, Parma, Milan. Nel calcio la pazienza è figlia della competenza».
Quanto apprezza il Var?
«È un passo avanti per dare più regolarità alle partite. E anche una libertà e un controllo maggiore agli arbitri: sembrano cose diverse, ma possono convivere».
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Ripensa spesso alla finale di Pasadena contro il Brasile?
«No».
Perché un allenatore è ininfluente quando un campione calcia un rigore?
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«Perché penso che abbia vinto la squadra che durante il Mondiale aveva fatto meglio. E perché penso che se è bravo il primo, credo che anche il secondo non sia così male. In 120 minuti sul campo non abbiamo perso, quindi la differenza è stata minima. Quei ragazzi sono stati eroi. Alla fine delle partite, prendevo appunti sulle azioni riuscite e gli errori commessi. Una volta con il Milan vincemmo 4 a 0 a Roma e scrissi due pagine di errori. Dopo la finale di Usa '94 scrissi solo tre parole: grazie a tutti».
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