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DIMENTICATE I NOMI DI PERSONE E OGGETTI? NON PENSATE SUBITO AL PEGGIO - NON ESISTE UNA RELAZIONE SCONTATA TRA GLI IMPACCI DELLA MEMORIA DOVUTI AL PROGREDIRE DELL'ETÀ E I DISTURBI COGNITIVI VERI E PROPRI -  SOLO AD ALCUNI VIENE FORMULATA UNA DIAGNOSI DI DECADIMENTO COGNITIVO LIEVE, NOTO COME “MILD COGNITIVE IMPAIRMENT”, FASE PRODROMICA DELLA DEMENZA. PER CAPIRLO BISOGNA FARE ATTENZIONE A...

Danilo di Diodoro per il “Corriere della Sera - Salute”

 

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È esperienza comune che man mano che gli anni passano, soprattutto dopo la sessantina, la memoria inizia a perdere colpi. Particolarmente evidente può essere la difficoltà a ricordare nomi di persone o anche di oggetti.

 

Un fenomeno che non manca di preoccupare, non solo per gli imbarazzi che può creare, ma anche perché ci si interroga inevitabilmente sul significato di questi fallimenti mnemonici: potrebbero essere un primo annuncio di futuri peggioramenti, di forme cliniche di deterioramento cognitivo o perfino di demenza? Per fortuna non esiste una relazione scontata tra gli impacci della memoria dovuti al progredire dell'età e i disturbi cognitivi veri e propri.

 

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«Solo ad alcune delle persone che presentano tali fenomeni sarà in seguito formulata una diagnosi di decadimento cognitivo lieve, noto anche con il termine inglese Mild cognitive impairment ( MCI)» dice Diego de Leo, professore emerito di psichiatria alla Griffith University australiana e presidente eletto dell'Associazione italiana di psicogeriatria.

 

«Questa condizione è in effetti temuta come fase prodromica della demenza. Da un punto di vista di salute pubblica, coglierne le caratteristiche in soggetti anziani può servire a mettere poi in atto eventuali strategie di prevenzione».

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La diagnosi

Perché si possa fare una diagnosi di vero Mild Cognitive Impairment è necessario che siano presenti alcuni sintomi precisi, formulati diversi anni fa dal neurologo della Mayo Clinic di Rochester, Ronald Petersen. «La diagnosi si basa sul fatto che la persona lamenti uno scadimento delle sue performance cognitive» dice ancora De Leo. «Un'impressione di scadimento che deve essere confermata anche da un parente o un convivente, ma anche da specifici test neuropsicologici, che evidenzino un oggettivo deterioramento cognitivo in almeno uno dei domini esplorati.

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Perché si tratti di Mild cognitive impairment e non di forme più gravi, è però allo stesso tempo necessario che la persona sia indipendente nelle abilità funzionali, ossia abbia meno di tre impedimenti in aree come fare la spesa, usare il telefono, utilizzare i farmaci, e altre attività quotidiane. Infine, ovviamente, bisogna che non abbia già una diagnosi di demenza».

 

Per fortuna molti studi protratti nel tempo hanno consentito di verificare che fino alla metà circa delle persone alle quali viene diagnosticato un Mild cognitive impairment, alla successiva visita questa condizione non viene più rilevata, il che mostra come in molti casi non solo non ci sia progressione verso forme più gravi, ma addirittura una riduzione della sintomatologia.

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Forme diverse

«Bisogna anche tener presente che esistono forme diverse di decadimento cognitivo lieve» spiega ancora De Leo.

 

«Alcune riguardano la memoria e sono quindi le forme amnestiche, ma ne esistono anche di non-amnestiche, come la capacità di esprimersi adeguatamente in parole, quella di orientarsi visivamente nello spazio, o quella di programmare e compiere adeguatamente gesti e azioni. Molto importante anche la distinzione in base al tipo di dominio interessato dal malfunzionamento, che può essere singolo o multiplo, e in quest' ultimo caso si parla di forme "multidominio". Questa forma è stata frequentemente identificata come predittore di una possibile progressione verso la demenza.

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Quindi, accertare l'eventuale presenza di un vero Mild cognitive impairment è importante per affinare la selezione delle persone a rischio di demenza e che potrebbero giovarsi di programmi di prevenzione». La rivista Neurology ha recentemente pubblicato i risultati di uno studio sul Mild cognitive impairment condotto da un gruppo di ricercatori coordinati da Jennifer Manly del Taub Institute for Research on Alzheimer' s Disease and the Aging Brain della Columbia University di New York.

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I ricercatori hanno esaminato un campione di quasi tremila persone ultrasessantacinquenni, che a partire dal 1992 sono state sottoposte a oltre undicimila visite all'interno di un programma destinato a valutare il rapporto tra invecchiamento e demenza.

 

Variazioni nel tempo

Sono state individuate 752 persone con diagnosi di Mild cognitive impairment. Seguendole nel tempo si è constatato che circa il 60 per cento di loro alle visite successive non corrispondeva più ai criteri per il mantenimento della diagnosi, il 30 per cento circa li conservava, e solo il dieci per cento circa aveva sviluppato una vera e propria demenza.

 

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«Soffrire di un Mild cognitive impairment multidominio è risultato un fattore che consentiva di predire chi alle visite di controllo avrebbe continuato ad avere il disturbo» dice ancora De Leo.

 

Fattori di rischio

«Altri fattori associati alla persistenza del Mild cognitive impairment sono risultati il soffrire di malattie somatiche, l'avere minor accesso ad attività ricreative, l'uso di antidepressivi e la presenza di sintomi depressivi» ha aggiunto l'esperto. « Gli stessi fattori sono risultati collegati al rischio di progressione verso la demenza.

 

neurofilamenti del cervello

Va comunque sottolineato che trattandosi di studi di tipo osservazionale, questi fattori sono solo associati allo sviluppo di Mild cognitive impairment o di demenza, e non si può affermare che siano fattori causali. Va aggiunto che il rischio di soffrire di Mild cognitive impairment ha anche una base genetica, e che il rischio risulta inferiore in chi ha potuto seguire più anni di istruzione, ha avuto maggior accesso alle attività ricreative, come visitare un amico o anche fare una passeggiata, e poteva contare su un reddito più elevato».

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Secondo Jennifer Manly, «la ricerca futura dovrà studiare il decorso del Mild cognitive impairment per periodi di tempo più lungo, al fine di analizzare ulteriormente e se possibile in modo più "causale" quali fattori possono aiutarci meglio a comprendere lo sviluppo della demenza».

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