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Francesco Borgonovo per “la Verità”
Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, lo ripete con implacabile costanza: «Non voglio assolutamente polemizzare con l'Aifa o con il ministero della Salute, a cui non ho nulla da rimproverare». Poi, più e più volte, ribadisce una cosa molto, molto interessante: «Il nostro protocollo di cura si può utilizzare, il primo dei nostri studi è stato pubblicato, e se un lavoro è stato pubblicato i medici possono andare a vederlo, e se sono convinti possono utilizzarlo. A questo serve la letteratura».
L'affermazione è particolarmente importante perché, come noto, Remuzzi assieme a stimati colleghi ha realizzato due lavori scientifici di altro profilo in cui viene presentato un trattamento anti Covid che riduce le ospedalizzazioni del 90%, utilizzando non stravaganti rimedi sciamanici, ma aspirina oppure celecoxib e nimesulide. Ne abbiamo parlato con il professore approfittando dell'uscita del bel libro che ha firmato assieme a Antonio Clavenna e Arrigo Schieppati. Esce ora per Vallardi e s' intitola Covid: Prevenire, curare, conviverci. Tutte le risposte dell'Istituto Mario Negri.
CORONAVIRUS - PAZIENTE IN TERAPIA INTENSIVA CON IL RESPIRATORE
«È un volume che contiene tutte le risposte alle domande che ci sono state poste dai pazienti a proposito del virus, e credo che sia esaustivo. Da quando abbiamo iniziato, nel 1975, abbiamo questo vizio: rispondiamo a tutte le domande».
Allora cominciamo con le domande. Nel titolo del vostro libro si parla di «curare». A quanto pare il vostro protocollo di cura funziona.
«Il primo lavoro è stato pubblicato. Il secondo è stato depositato su MedrXiv, che è una sorta di archivio in cui vengono depositati gli studi, e chi è interessato a leggerli prima della pubblicazione ufficiale lo può fare. Il limite di questo nuovo lavoro è lo stesso che aveva il precedente: i pazienti che hanno avuto il trattamento sono stati sottoposti agli stessi controlli fatti a quelli che non lo hanno ricevuto. Però i pazienti sono stati studiati in tempi diversi».
In pratica avete confrontato i dati ottenuti dai pazienti sottoposti al protocollo con quelli di pazienti che, in precedenza, si sono trovati nella stesse condizioni ma non hanno ricevuto il trattamento. E che cosa avete riscontrato?
«Abbiamo notato di nuovo, come nel primo studio, una differenza molto importante. Su 108 pazienti con trattamento attivo, c'è stata una riduzione del 90% dell'ospedalizzazione».
Mi pare una riduzione molto significativa.
«Questi due studi non sono perfetti, però mostrano la stessa cosa. La prima volta i risultati potevano persino essere arrivati per caso, anche se era difficile. Ma che sia un caso pure la seconda volta».
C'è chi tende a ridimensionare i suoi lavori dicendo che sono stati fatti su pochi pazienti.
«Sono il primo a dire che questi due studi non sono sufficienti a cambiare la pratica clinica, e ripeto che non ho nulla da rimproverare a ministero e Aifa, così evitiamo da subito le polemiche. Che però i pazienti siano pochi…Erano 90 prima e sono 108 adesso. Certo, se fossero 4.000 sarebbero molti di più, ma i risultati che abbiamo ottenuto non sono indifferenti. E soprattutto questi sono i primi studi pubblicati e controllati in Italia».
Mi pare che lei voglia uscire dalla diatriba sulle cure domiciliari.
«Ripeto, una cosa sono gli studi pubblicati, un'altra le impressioni dei singoli medici. Io posso credere che queste impressioni siano giuste e vadano bene: vengano pubblicate, così eventualmente si aggiungeranno altre evidenze».
Capito. Intanto, però, sembra che le conclusioni a cui siete giunti voi del Mario Negri non siano poi così isolate
«Nel frattempo c'è stato uno studio indiano simile al nostro. In quel caso si usa indometacina. I risultati mostrano che nessuno dei pazienti che la utilizzavano ha avuto bisogno di ossigeno. Mentre nel 20% dei pazienti che non la usavano la malattia è evoluta e l'uso dell'ossigeno è stato necessario. Poi c'è un altro lavoro uscito su Lancet, uno studio prospettico di Oxford. In quel caso si utilizza un preparato per l'asma che contiene una piccola quantità di cortisone. I risultati sono gli stessi nostri: 90% di ospedalizzazioni in meno. Infine c'è un altro studio israeliano sull'aspirina».
E anche lì si riduce l'ospedalizzazione.
«Guardi, ormai le evidenze a favore degli antinfiammatori cominciano a essere tante. Non giustificano ancora il cambio delle raccomandazioni da parte di Aifa. Noi intanto abbiamo proposto all'Agenzia del farmaco un protocollo prospettico con 400 pazienti per tipo, il cui obiettivo primario è proprio la riduzione dell'ospedalizzazione.
AIFA AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO
Riguardo alle critiche mosse ai nostri studi, io sono il primo a dire che sono giuste. Però dico anche che sono gli unici due studi controllati e sono supportati da una serie di altri lavori che dimostrano la stessa cosa: l'utilizzo precoce di antinfiammatori porta risultati. Quando potremo fare il nuovo studio metteremo la parola fine alla questione. Ora però i pazienti per fare questo studio non ci sono».
Non ci sono perché mancano i malati di Covid?
«Sì. Però vogliamo essere pronti se l'epidemia dovesse riprendere. Se invece non riprende tanto meglio».
Mi permetta però di farle qualche altra domanda sulle linee guida
«No, guardi, io vorrei portare la discussione su un altro piano».
Portiamocela, allora.
«Se i lavori scientifici sono pubblicati, il medico li può andare a vedere, e se lo convincono può applicarli».
Quindi lei sta dicendo che il suo studio può essere utilizzato già adesso?
«Non è una cosa vietata. Se un lavoro è pubblicato si può usare. Il primo studio ha affrontato una seria revisione prima della pubblicazione. Un revisore ne era entusiasta, ad altri tre andava bene, mentre un altro revisore è stato fortemente negativo. Era italiano, l'ho dedotto dall'inglese traballante e da vari errori che non avevo mai visto commettere... Tra le varie cose chiedeva come avessimo potuto fare questo lavoro dato che le indicazioni prevedevano tachipirina e vigile attesa Ma lasciamo stare. Alcune delle indicazioni fatte in sede di revisione, in ogni caso, sono state estremamente utili e le abbiamo messe in pratica».
giuseppe remuzzi a piazzapulita 4
Giusto per capire bene: gli studi pubblicati possono essere utilizzati dai medici?
«Quando io devo curare un paziente non vado a vedere le raccomandazioni, ma cerco nella letteratura, e se trovo cose interessanti le utilizzo. Se si aspettano le linee guida Le linee guida sono sempre vecchie, perché richiedono tantissime evidenze, arrivano in ritardo. Poi c'è la letteratura, che ovviamente si può accettare o non accettare. Ci sono farmaci che si possono usare con vari tipi di formule».
I farmaci indicati nel suo lavoro si possono usare?
«Certo, sono farmaci che si usano per febbre, dolori Comunque anche l'Aifa da qualche tempo ha inserito i fans nelle sue linee guida. Noi però abbiamo messo a punto un protocollo preciso, che prevede antinfiammatori per un certo periodo, quindi piccole dosi di cortisone. Il cortisone però non deve essere utilizzato subito, se no peggiora la situazione».
Che i vostri lavori si possano utilizzare già ora mi sembra molto rilevante.
«Sono inseriti nella letteratura: convinceranno qualcuno e magari non qualcun altro. Ma chi è aggiornato i pazienti li cura con le conoscenze che emergono dalla letteratura. La letteratura serve a questo: a dare indicazioni per curare i pazienti. Noi abbiamo due lavori che fanno vedere la stessa cosa, e nel nostro caso il fatto che i pazienti trattati siano pochi è discutibile Poi, ripeto, sono il primo a dire che serve uno studio prospettico. Le dico questo: è molto raro che n medicina si trovi qualcosa di veramente trasformativo. È molto raro, ma c'è. Quando hai un farmaco che funziona lo vedi subito, ci sono grandi differenze fra chi lo riceve e chi no. È quando le differenze sono piccole che c'è bisogno di testare su tanti pazienti».
giuseppe remuzzi a piazzapulita 1
In che momento somministrate i farmaci?
«Ai primi sintomi. All'inizio dicevamo: non aspettate il tampone, chiedete al medico. Ma va tenuto presente che prima per un tampone ci volevano dieci giorni, ora è tutto molto più rapido. Comunque diamo gli antinfiammatori ai primi sintomi come si è sempre fatto per altre malattie respiratorie. Credo che il successo di certe terapie precoci fatte a casa sia dipeso dal fatto che i medici si occupavano dei pazienti. Bisogna sempre essere in contatto con i pazienti. Come dicono due colleghi israeliani: "La casa è la nuova frontiera". Questo è il futuro».
Proprio da Israele arrivano studi interessanti sull'aspirina.
«Anche noi stiamo lavorando sugli effetti dell'aspirina. In Israele hanno studiato persone che prendevano già l'aspirina per i fatti loro, ad esempio quelli che assumevano cardioaspirina. Si è visto che costoro avevano una probabilità 29 volte minore di infettarsi con il virus. E chi comunque si ammalava guariva 2-3 giorni prima degli altri. Sono osservazioni preliminari, ma molto promettenti. Le evidenze sono tante, noi comunque siamo i primi a essere prudenti».
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