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Paolo Russo per "la Stampa"
«Ci aspettiamo che il picco si raggiunga rapidamente, intorno alla metà del mese o poco dopo, portando successivamente a un calo della pressione sugli ospedali», prevede la fisica Vittoria Colizza, direttrice del laboratorio EPIcx, faro del governo francese per tracciare le rotte della pandemia.
«Ma non sappiamo se raggiunto il picco avremo una decrescita rapida o una situazione ad alta incidenza per qualche settimana, come osservato in questi giorni a Londra. In Italia la quarta ondata è partita con qualche giorno di ritardo, quindi è probabile che occorra un po' di tempo in più».
Dalla pandemia a un'endemia simile all'influenza. Ci arriveremo presto o c'è il rischio che nuove varianti impongano una convivenza ancora difficile con il virus?
«Non abbiamo elementi per poter dire che le future mutazioni, da non scartare data l'alta circolazione del virus, andranno in una direzione piuttosto che in un'altra. Un possibile scenario verso l'endemia è l'acquisizione di strati successivi di immunità negli individui, dati da precedenti infezioni e dal vaccino, fino ad arrivare a un'immunizzazione contro le forme gravi sufficiente da rendere l'impatto sanitario gestibile. Ma non sappiamo con quali scale di tempo, se in sei mesi o tre anni. Sempre che non spuntino nuove varianti con maggior patogenicità o evasione immunitaria. Cosa che al momento non si può escludere».
La scuola è veramente un fattore di propagazione del virus?
«Questo è fuori discussione. Ma la questione non è se tenere aperte le scuole, bensì come. Sappiamo infatti che la loro chiusura ha un impatto psicologico fortissimo sui ragazzi, ne condiziona l'educazione e lo sviluppo e crea ineguaglianze. Al contempo, la chiusura della scuola ha conseguenze economiche per l'impatto sul lavoro dei genitori. Per questo in Francia le scuole sono sempre rimaste aperte dopo la prima ondata. Ma la domanda da porsi è a quali condizioni».
Ovvero?
«Dobbiamo adottare una strategia proattiva anziché rincorrere il virus. Prima di tutto bisogna insistere sull'areazione dei locali. Poi occorre incentivare l'auto-testing, da fare anche a casa, ripetuto a intervalli brevi».
Ma non danno troppi falsi negativi?
«La loro efficacia è nel ripeterli spesso. In questo modo le chiusure scolastiche si riducono tra il 70 e l'80%».
In Italia c'è chi propone di far diventare settimanale il bollettino dei contagi. Non è voler censurare l'epidemia?
«Non capisco il senso di questa proposta. I dati vanno sempre comunicati in assoluta trasparenza e dobbiamo continuare a sorvegliare giornalmente l'epidemia per esigenze di gestione e controllo. Si rischierebbe di far aumentare ancor di più l'ansia nella popolazione con dei numeri integrati su sette giorni, in quanto molto più alti. Casomai i numeri giornalieri andrebbero accompagnati da quelli più significativi del trend settimanale».
C'è anche chi propone di non conteggiare quel terzo di ricoverati per altre patologie che scoprono di avere il Covid solo facendo il test di ingresso in ospedale
«Ma questo non basta a risolvere il problema della pressione che il virus sta esercitando sugli ospedali, costringendoli a rinviare ricoveri e interventi chirurgici. Per i positivi bisognerebbe creare pur sempre reparti specialistici riservati soltanto a loro e questo non attenuerebbe i problemi per chi ha carenze di personale e di letti».
L'idea che sia meglio far correre il virus per raggiungere l'immunità di gregge più rapidamente è un azzardo o no?
«Lasciare correre un'infezione di un virus o ceppo virale nuovo è sempre un azzardo. Anche se resta l'obiettivo di vaccinare tutti per abbattere le forme gravi di malattia, l'immunità di gregge è un paradigma inapplicabile quando non si hanno vaccini in grado di proteggere totalmente dall'infezione; si ha una perdita di immunità nel tempo che dà luogo ad un alto tasso di reinfezioni e quando possono emergere nuove varianti con maggiore evasione immunitaria delle precedenti».
Israele è partito per primo con le terze dosi ma ora vede la curva dei contagi di nuovo in salita. Vuol dire che anche il booster ha vita breve?
«Gli studi delle autorità sanitarie britanniche stimano che se si sono fatte le prime due dosi con Pfizer la protezione dalla malattia sintomatica è intorno al 65% dopo 2-4 settimane dal richiamo Pfizer e al 75% circa se fatto con Moderna. Dopo 5-9 settimane si passa al 55% con il booster Pfizer e al 70% con Moderna, mentre a distanza di 10 settimane le protezione è intorno al 50% con un richiamo Pfizer. Ma la protezione contro l'ospedalizzazione per Omicron rimane molto alta».
Per la primavera si annunciano già nuovi vaccini tarati su Omicron. Servirà somministrare la quarta dose a tutti?
«È troppo presto per dirlo, ma non mi meraviglierei servissero altre dosi. In un anno abbiamo avuto tre varianti che hanno generato tre-quattro diverse ondate, l'ultima con due varianti sovrapposte. Quindi dico, avanti con la vaccinazione ma senza abbassare la guardia con le misure di prevenzione, mascherine e areazione dei locali, e rafforzamenti delle misure quando necessario».
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