Francesco Verderami per il Corriere della Sera
salvini giorgetti
Da qualche tempo Matteo Salvini sfoggia sempre meno felpe e sempre più giacche monopetto, e ha cambiato anche linguaggio: c' è chi dice lo faccia per rassicurare gli elettori moderati (che però già lo votano), chi per competere con Matteo Renzi (che però ha un decimo dei suoi consensi).
In realtà il leader del Carroccio ha compreso che «per rientrare a Palazzo Chigi dal portone principale» non serve solo vincere nelle urne, perché - come ha spiegato Giancarlo Giorgetti - «se si vuole governare è necessario un sistema di relazioni internazionali forti e stabili. E sta a noi costruirlo». Per accedere in quel mondo dove i voti si pesano e non si contano, non basta dire che l' euro è «una scelta irreversibile», non basta giurare «fedeltà al Patto Atlantico», scegliere «il modello di Washington» rispetto a quello moscovita, chiosare con un «why not» l' ipotesi di Mario Draghi alla presidenza della Repubblica. Insomma, non basta il monopetto e neppure che Silvio Berlusconi si offra come «garante».
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Salvini l' ha capito. Superata la sbornia della crisi d' agosto, la riflessione più importante nel partito si è concentrata sugli errori compiuti in politica estera, che - ammette un autorevole dirigente nella Lega - «è il nostro tallone d' Achille». Girare l' Italia per stare a contatto con la gente non è sufficiente se si commettono autogol a Bruxelles. Ed è proprio partendo dall' Europa - ecco il punto della discussione - che si può costruire quel sistema di relazioni a cui Giorgetti fa riferimento. E lì, come rivelano fonti diplomatiche, che sono in atto «segnali di avvicinamento» tra Ppe e Carroccio, «da non scambiare - si precisa - con segnali di transito».
È evidente quale sia l' interesse della controparte. Il Ppe si sente orfano dell' Italia, che finora aveva sempre garantito - prima con la Dc poi con Berlusconi - una forte rappresentanza nell' Europarlamento. Ma con il tramonto del Cavaliere, non scorgendosi un sostituto, lo sguardo si è allungato su Salvini. È vero che al momento a Bruxelles - complice il voto contrario alla Commissione Von der Leyen - vige una cortina di ferro attorno alla Lega, ed è altrettanto vero che - per non provocare la reazione dei partiti popolari del nord Europa - il Ppe non ha rapporti con il leader del Carroccio. Formalmente.
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Perché proprio di Salvini ha parlato di recente Joseph Daul con l' imprenditore italiano Cremonini, che è suo vecchio amico, patron di una multinazionale del settore alimentare, e che conosce il capo della Lega. A colazione il presidente del Ppe - prossimo a lasciare il posto a Donald Tusk - ha spiegato che «noi abbiamo l' esigenza di cambiare l' Europa. Cambiare l' Europa però non vuol dire distruggerla. Perciò, se si vuole ragionare, un punto di convergenza si trova. Ma tocca a loro fare il passo». Non è chiaro se quel colloquio abbia prodotto un contatto diretto tra Daul e Salvini, di cui parlano gli europarlamentari leghisti, è certo però che le parole pronunciate da Giorgetti a Mezz' ora in più siano state un messaggio: «Non escludo che la Lega possa entrare nel Ppe».
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Tempo al tempo, ovviamente. Berlusconi impiegò quattro anni prima di essere accolto dai popolari, ed Helmut Kohl dovette usare tutto il suo peso politico per farlo accettare. Ora le condizioni sono diverse, «e se Salvini fosse abile - dice Pierferdinando Casini - potrebbe approfittare del momento». Angela Merkel infatti sembra prossima al passaggio di testimone e il Ppe sta cambiando pelle: in passato le delegazioni più numerose provenivano dai paesi dell' Europa occidentale, mentre oggi in cima alla lista (dopo i tedeschi) ci sono i polacchi e gli ungheresi, in coda i francesi e gli italiani.
Si vedrà se il processo di «avvicinamento» tra Ppe e Lega produrrà risultati: Viktor Orbán farebbe da anello di congiunzione. Esponenti del Carroccio fanno sapere che «il lavoro degli sherpa è in atto», e che dal versante popolare si attende di «verificare quale sarà la linea politica» del Carroccio. Basterà poco per capirlo, perché nell' Europarlamento - quando si inizierà a legiferare - su ogni provvedimento si formeranno maggioranze variabili. Persino la commissaria liberale Margrethe Vestager ha dovuto riconoscere in un' intervista a Repubblica che «il voto dei cittadini europei propone una situazione senza precedenti», e che la Commissione sarà costretta a «collaborare» anche con i sovranisti: «Non abbiamo scelta». A Strasburgo la Lega conta 29 deputati.
ANGELA MERKEL
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