Estratto dell'articolo di Stefano Mannucci per il “Fatto quotidiano”
SERVIZI STREAMING MUSICALI
Una cena con gli amici. Cosa si festeggia? I centomila streaming del mio brano su Spotify. Poiché per ogni ascolto la piattaforma mi versa 0,0033 euro, il ricavato basterà appena per un ristorante di medio livello, e senza esagerare con le bottiglie. Trecento euro e amen, […]
E dire che per caricare le mie canzoni su Spotity ho dovuto pure pagare (10 euro o poco più) il provider digitale: uno tra Route Note, Tune Core, Indiefy. O,0033. Zeri e virgole. Se riesco a strappare un accordo migliore, la piattaforma che vanta un giro d’affari da più di 20 miliardi di euro (sborsando briciole di tasse, almeno in UE), mi riconoscerà 0,005.
STREAMING MUSICA
Meglio altrove? Vediamo le tariffe americane: Apple garantisce 0,01 dollari, Tidal più o meno lo stesso, Amazon 0,004, YouTube 0,008, Tik Tok quasi nulla. Per tagliare il traguardo dei mille dollari incassati da Spotify dovrò sperare in 303mila ascolti […] i contratti per le superstar prevedono percentuali lusinghiere anche dalla visibilità dei social e dal merchandising. Torniamo con i piedi per terra: da presunto emergente non riuscirò neppure a saldare il conto per lo studio e i musicisti.
[…] A meno di non essere inserito dall’algoritmo in qualche playlist bene in vista, o di avere un formidabile colpo di culo alla Maneskin. Perché oggi quasi tutta la filiera della musica registrata (un tramezzo accanto al muro portante dei live), passa nel “flusso” internettiano. I cd spariscono inesorabilmente, il vinile è nicchia vintage.
MUSICA IN STREAMING
“L’industria discografica non esiste praticamente più, il supporto fisico ha ceduto il passo alla rivoluzione epocale dello streaming”, riflette Enzo Mazza, presidente della Fimi, la federazione che riunisce 2500 imprese del settore. “In Italia la musica registrata vale 371 milioni di euro, lo streaming è il 66 per cento del totale, siamo l’undicesimo mercato al mondo. Spendiamo poco rispetto ad altri Paesi, qui l’appassionato pesca gratis su YouTube, mentre noi addetti ai lavori spingiamo perché i modici rincari degli abbonamenti su Spotify, ora a 10,99 euro al mese senza pubblicità, garantiscano ossigeno al comparto”.
MUSICA IN STREAMING
[…] ma gli (ex?) discografici sono entusiasti della “democratizzazione orizzontale che le piattaforme assicurano agli artisti: tutti hanno una chance, e senza i costi industriali di un tempo. Compresi gli anticipi milionari che venivano concessi ai big per dischi che poi non vendevano”, spiega Mazza. Peccato che la “democratizzazione” resti un imbuto dove la progettualità è un miraggio e il rischio artistico un’ingenuità che può costare cara. […]
Fermo restando che pianificare un album concept come facevano nell’epoca aurea i Genesis, i Pink Floyd o De André è ormai solo un pio desiderio, potrebbe dunque finire, prima o dopo, la tirannia delle canzoni usa e getta, effimere e dimenticabili. […] Di certo non si torna indietro dallo scenario dello streaming: il colpo di maglio all’industria tradizionale lo diede Napster nel 1999.
Lo scarico piratesco e gratuito nel web fu capitalizzato da Steve Jobs con i download di iTunes: ora è tutta “corrente” che passa sugli smartphone, con buona pace della nostalgia Hi-Fi, mausolei per archeologi del suono.
MUSICA IN STREAMING
Però, almeno in Italia, non sarebbe il caso di fare sistema? L’AFI, l’associazione fonografici che rappresenta gli operatori indipendenti, ha prodotto il report “La musica che conta”: certifica un impatto economico nazionale complessivo da 1 miliardo e 127 milioni. Sergio Cerruti, presidente AFI, insiste sulla creazione “di un dipartimento musica e intrattenimento presso la Presidenza del Consiglio per capitalizzare e investire le risorse, prima che vengano cannibalizzate dalle divisioni tra le lobby. La musica italiana si salverà solo unendo le forze, non arrendendosi ai diktat delle multinazionali”.