Luigi Ferrarella per www.corriere.it
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Avrebbe dovuto essere un aiuto offertogli da un conoscente connazionale che aveva una ditta individuale, «se vuoi vieni a darmi una mano in cantiere». Ma il primo giorno di lavoro — senza contratto, senza formazione, senza attrezzatura — a un operaio albanese ha cambiato la vita in tutt’altro drammatico senso il 26 luglio 2019: caduta da un lucernario, volo da cinque metri, schiena spezzata, paralisi, sedia a rotelle per il resto della vita.
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Tutto perché, durante lavori di manutenzione straordinaria per la rimozione del manto di copertura in amianto e la sua sostituzione con lastre di alluminio in un capannone industriale di una società immobiliare in via del Lavoro a Bernate sul Ticino, nessuno gli aveva detto di fare attenzione, mentre spostava materiali di lavoro, a non camminare su alcuni lucernari fissi in plexiglas, che sotto il suo peso subito cedettero e lo fecero sprofondare da cinque metri di altezza.
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Da qui l’accusa all’imprenditore 41enne di non aver fornito all’operaio di 10 anni più anziano «i dispositivi di protezione individuali necessari per lo svolgimento di lavori ad alta quota, nonostante fosse a conoscenza che la copertura presentasse rischi di caduta per la presenza di elementi non calpestabili»; di non avere garantito «misure di protezione collettiva» contro la caduta in caso di pressione su superfici non in grado di sorreggere il peso del lavoratore; e «non avere assunto i provvedimenti necessari in materia di assistenza medica di emergenza».
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Quest’ultimo passaggio richiama il fatto che, stando all’imputazione del pm Maria Letizia Mocciaro, quel giorno subito dopo la caduta il suo amico-datore di lavoro lo caricò su un proprio automezzo e lo portò al pronto soccorso dell’ospedale di Magenta, ma lo lasciò lì, e se andò, per poi essere rintracciato solo giorni dopo dall’indagine.
Ora l’operaio albanese paralizzato, parte civile con l’avvocato Marco Rosafio, non ha neanche la prospettiva di poter ricevere un risarcimento degno di questo nome dai due imputati entrambi con scarsi mezzi economici (il datore di lavoro albanese e il direttore italiano del cantiere), sicché le residue speranze di avere qualche risorsa per i futuri anni di necessaria assistenza sono appese alla citazione, nel procedimento penale, dell’assicurazione quale possibile «responsabile civile».
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Intanto, dal punto di vista strettamente penale, mentre il direttore dei lavori ha scelto di essere giudicato in un processo ordinario, i difensori del datore di lavoro, Claudia Invernizzi e Alessandro Maltarolo, hanno optato per un rito alternativo e pilotato un non semplice patteggiamento. La prima proposta a 18 mesi di pena per il dato di lesioni gravissime, infatti, è stata giudicata non congrua e respinta dalla giudice della IX sezione penale Valeria Recaneschi. La seconda, corretta al rialzo, è stata infine accolta dal giudice Fabio Processo e formalizzata adesso in 2 anni ma con la sospensione condizionale della pena.
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