Milena Gabanelli e Simona Ravizza per www.corriere.it
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La Lombardia è l’unica Regione italiana che ha stabilito per legge parità di diritti e doveri fra soggetti pubblici e privati convenzionati che operano all’interno del servizio sanitario. Le intenzioni della norma n. 31 voluta nel 1997 da Roberto Formigoni sono quelle di promuovere la competitività tra strutture per soddisfare meglio i bisogni dei pazienti, che possono scegliere dove farsi curare, e accorciare le liste d’attesa. E la Regione rimborsa indifferentemente gli uni e gli altri (all’interno di tetti di spesa contrattati).
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Ma la sanità lombarda presa spesso anche come esempio da esportare in altre regioni, ha davvero un sistema pubblico-privato in grado di garantire cure più tempestive? I dati, forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e che per la prima volta è possibile rendere pubblici, permettono di capire come funziona nella realtà il modello.
Quel che emerge non è una conseguenza dell’intasamento degli ospedali causato dal Covid, perché è stata fotografata la situazione considerando i numeri del 2019. Dopo è andata solo peggio.
Posti letto a confronto
posti letto
I posti letto totali sono 29.308, 70% pubblici e 30% privati. Vuol dire che di tutti i tipi di ricoveri, oltre 1,2 milioni, il 70% è pubblico e il 30% privato.
Intanto su 100 posti letto in un ospedale pubblico, 45 sono occupati da chi entra per un’emergenza passando dal Pronto soccorso. Su 100 posti nel privato, solo 20 pazienti arrivano dal Ps. Per gli altri 80, le strutture accreditate possono programmare per tipologia i ricoveri.
Per accedere in ospedale chi ha bisogno di un intervento chirurgico deve prenotarsi la visita specialistica: per le strutture pubbliche c’è un sistema di prenotazione trasparente dove il contact center regionale dice dov’è possibile andare e in che tempi. Per quelle private, invece, bisogna rivolgersi alle singole strutture accreditate che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno mai voluto mettere a disposizione pubblicamente le loro agende, nonostante siano state sollecitate a farlo già a partire dal 2016.
urgenze
Quali prestazioni offre il privato?
Per una lunga lista di ricoveri e interventi chirurgici il rapporto pubblico-privato 70 a 30 s’inverte, con alti volumi in una serie di prestazioni. Vediamo quali. Primo: gli interventi ben pagati, spesso a rischio inappropriatezza perché il medico ha ampia discrezionalità nel decidere se è utile o meno eseguirli.
tempi di attesa
Sono quelli per obesità, che le strutture accreditate eseguono per il 74,5%, con un rimborso di 5.681 euro; sulle valvole cardiache, che valgono 21.882 euro e sono svolti dal privato per il 51% (a Milano per il 66,2%); le artrodesi vertebrali, dove vengono inchiodate le vertebre della schiena, fatte per oltre l’80% dal privato.
Nell’agosto 2019 il rimborso da 19.723 euro è stato tagliato di quasi il 40% dall’allora direttore generale della Sanità Luigi Cajazzo, proprio per renderli meno redditizi e tentare di limitare gli interventi inutili.
Interventi più remunerativi
Secondo: le prestazioni più remunerative delle specialità di cardiologia/cardiochirurgia e ortopedia. Si tratta di interventi che prevedono l’impianto di protesi, dove le strutture private già hanno margini di guadagno elevati perché negli acquisti hanno meno vincoli e standard del pubblico.
cosa fa il privato
A Milano, dove sono concentrati i colossi della Sanità accreditata, i privati impiantano il 60% dei defibrillatori (rimborso 19.057 euro), il 68% delle valvole cardiache (17.843 euro), l’88% dei bypass coronarici (19.018 euro). Inoltre: il 90% degli interventi sulle articolazioni inferiori (12.101 euro), e il 68% delle sostituzioni di anca e ginocchio (8.534 euro). Nell’intera regione comunque, per gli stessi tipi di intervento, la percentuale di prestazioni svolte dal privato supera il 40%, con punte che arrivano al 77%.
Terzo: su oltre 500 tipi d’intervento, il privato fa la metà del suo fatturato con 25 prestazioni, il pubblico 43. Segnale evidente che l’attività si concentra in ambiti di specialità più convenienti.
Le più diffuse riguardano le malattie degenerative del sistema nervoso, che valgono l’8,8% del fatturato, la sostituzione di articolazioni maggiori o il reimpianto degli arti inferiori (8,5%), le diagnosi del sistema muscolo-scheletrico (3,7%), e gli interventi sul sistema cardiovascolare (4,4%).
Milano: dominio del privato
cosa fa il pubblico
Su Milano, se si prendono in considerazione anche i pazienti da fuori Regione, la sanità privata, rispetto ai grandi ospedali pubblici, raggiunge percentuali tra l’85 e il 97% degli interventi e ricoveri di cardiologia, cardiochirurgia, ortopedia, e quelli ad alto fatturato, ma a rischio di inappropriatezza.
È la stessa Regione Lombardia ad ammettere: «La Sanità privata si è concentrata su alcune specifiche linee di attività che, tuttavia, impongono controlli incisivi in termini di appropriatezza» evitando che «gli erogatori si concentrino su attività caratterizzate da buona redditività e da non verificata necessità epidemiologica».
Cosa fa il pubblico?
Gli interventi molto costosi e rischiosi, a partire dai trapianti, che può farli solo l’ospedale pubblico. E poi l’80% delle emorragie cerebrali, l’87% delle leucemie, l’82% delle neoplasie dell’apparato respiratorio, il 75% dell’ossigenazione extracorporea.
i conti
I neonati gravemente immaturi sono curati per l’87,2% nelle strutture pubbliche. Oltre a tutti quegli interventi poco remunerativi, ma molto comuni: parti (81,8%), aborti (90%), calcoli (80%), polmoniti (78%), appendiciti (83,9%), tonsille (79,3%). Le operazioni per tumore al seno sono, invece, equamente ripartite.
lombardia ospedali
A conti fatti gli ospedali pubblici sono in perdita, con la Regione che ogni anno deve ripianare i bilanci: 44 milioni il Policlinico di Milano, 58 il San Paolo e il San Carlo, 87 i Civili di Brescia, 75 il Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Mentre i gruppi privati fanno utili importanti: 27 milioni il gruppo San Donato della famiglia Rotelli, 66,9 l’Humanitas di Gianfelice Rocca, 6,7 la Multimedica di Daniele Schwarz. Certo, il pubblico sconta inefficienze, mentre il privato è più manageriale, ma non basta a spiegare un divario di questa portata.
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Le liste d’attesa restano
Le linee guida nazionali danno i tempi: nel caso di rischio di aggravamento rapido della malattia l’intervento chirurgico deve essere eseguito entro 30 giorni.
In Regioni comparabili per offerta sanitaria, vediamo altri numeri: in Veneto solo il 6% delle operazioni urgenti sui tumori non viene eseguito entro i 30 giorni, per gli altri interventi gli sforamenti sono del 9%. In Emilia Romagna sono rispettivamente del 22% e del 15%. E questo era l’andamento fino ad attimo prima dell’arrivo della pandemia. Va detto che in quei mesi durissimi, con le strutture pubbliche al collasso, il privato ha messo a disposizione il 40% dei posti letto per pazienti Covid.
Modello da riformare
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Tirando le fila, il modello non garantisce nei fatti quella «parità» di diritti e doveri prevista dalla legge regionale, non risolve le liste d’attesa, ma porta pian piano al deperimento del pubblico e all’accaparramento dei medici migliori. A quel punto sarà difficile tornare indietro.
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Infatti è in discussione un piano di riforma che in autunno dovrà sfociare in una legge, considerata dall’assessore al Welfare Letizia Moratti una delle priorità del proprio mandato. Nelle linee di indirizzo allo studio, l’assessore scrive che è necessario «un miglior governo dell’offerta». Dovrebbe voler dire: ti accredito per fare di più quello che serve e non solo quello che ti conviene. Vedremo se dalle parole si passerà ai fatti.
(ha collaborato Alessandro Riggio)