Francesco Verderami per corriere.it
berlusconi salvini meloni
In attesa di verificare se Salvini e Meloni riusciranno a risolvere la loro personale controversia sulla premiership, nel centrodestra hanno iniziato a discutere su una soluzione alternativa: non disponendo di un altro Berlusconi, alla coalizione servirebbe un Prodi, cioè un candidato per Palazzo Chigi capace di essere un valore aggiunto per l’alleanza e in grado di rappresentarli tutti. Il tema del federatore — che fu la soluzione escogitata nel ‘96 dal centrosinistra quando D’Alema disse al Professore «noi le conferiamo la nostra forza» — alimenta i conversari di dirigenti che per un ventennio non si sono dovuti porre (quasi) mai il problema: tanto c’era il Cavaliere.
berlusconi salvini meloni
E il solo fatto che si affronti l’argomento, testimonia che l’idea di incoronare leader chi ha «un voto in più» non regge, perché finisce per scadere in un derby interno che priva l’alleanza della forza necessaria per presentarsi unita davanti ai cittadini, in modo da conquistare «un voto in più» rispetto agli avversari. D’altronde a mettere in discussione questo schema sono stati proprio Meloni e Salvini, quando nell’ultima fase della campagna elettorale — dopo un braccio di ferro logorante — si sono resi conto che lo contesa li avrebbe condannati entrambi. Troppo tardi. Le urne sono state come una sentenza. E in vista dell’appello c’è da riorganizzare il rassemblement.
salvini meloni e berlusconi in conferenza stampa
Sulla validità del modello fin qui adottato, si interrogano tutti gli alleati. I centristi lo definiscono «infantile», pur ammettendo che «c’è un problema: come si spiega alla Meloni che il meccanismo per la premiership cambia, ora che nel centrodestra è formalmente prima?». «Eppoi oggi un Prodi noi non ce l’abbiamo», sostiene un autorevole dirigente di FdI, che evidenzia le differenze rispetto al passato, quando Berlusconi era egemone: «Mentre adesso sarebbe difficile trovare un federatore per due forze di eguale peso». Ma il tema è sul tavolo, si scorge nelle parole del leghista Centinaio, che pur restando fedele alla logica del «voto in più», aggiunge: «... Se invece si scegliesse, ad esempio, il più moderato, il più europeista, allora andrebbe chiarito. Mettendo in campo i nuovi criteri».
SALVINI BERLUSCONI MELONI
E oplà, il dibattito su un «Prodi berlusconiano» viene cripticamente aperto. Per certi versi questa è la cartina di tornasole dei problemi di un’alleanza che resta in testa nei sondaggi ma che sconta un deficit d’immagine e politico, su cui La Russa concentra l’attenzione: «Bisogna dimostrare agli italiani che la coalizione non è schiacciata a destra ma è di centrodestra».
Con un concetto di ispirazione tatarelliana, l’ex ministro della Difesa fa capire che il buco è al centro, che quel buco va coperto, che FdI e Lega per la loro parte devono farsene carico, agevolando la nascita di una formazione in quell’area rimasta orfana della vecchia potenza forzista.
BERLUSCONI SALVINI MELONI AL QUIRINALE
Lì, alla zona di confine con il centrosinistra dove si vincono le elezioni, il centro del centrodestra è oggi piccolo e diviso, minacciato da nuove micro-scissioni che non sottrarrebbero voti ma credibilità all’alleanza. Ecco a cosa si riferisce La Russa.
Ed ecco perché il leader udc Cesa rivolge un appello al Cavaliere, affinché per un verso «promuova una federazione centrista capace di allargare i confini attuali», e per l’altro «individui insieme agli alleati una personalità a cui affidare la guida della coalizione alle prossime elezioni. Altrimenti sarebbe complicato vincerle». A parte l’indole da sovrano di Berlusconi, andrebbero superate le (legittime) remore dei sovranisti Salvini e Meloni.
Si vedrà quale piega prenderà la discussione sulla premiership, nel frattempo sarà sull’ elezione del capo dello Stato che si misurerà l’unità del centrodestra. «Dovremo saper dire insieme sì o no ai candidati per il Quirinale», riconosce uno dei maggiorenti dell’alleanza: «Due nomi sui quali potremmo compattarci li abbiamo già. Sono Draghi e Berlusconi». Ma il primo a sospettare che non sia così è proprio il Cavaliere...
SALVINI MELONI BERLUSCONI
RESA DEI CONTI NEL CENTRODESTRA
Emanuele Lauria per la Repubblica
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Eccolo di nuovo qui, Berlusconi, nei panni ancora del federatore, di anziano tutor di uno schieramento che qualche mese fa proclamava il suo essere maggioranza nel Paese e ora vive gli incubi di una scoppola elettorale e paga il pegno di errori che Giorgia Meloni riassume sostanzialmente nell'avere tre atteggiamenti diversi nei confronti di Draghi.
BERLUSCONI MELONI SALVINI
Ma ieri stesso la presidente di Fratelli d'Italia ha fatto sapere che il suo non era un invito formale spedito agli alleati perché lascino il governo. E Matteo Salvini, come pronta risposta, ha rallentato sull'attacco a uno dei simboli dell'esecutivo, la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese. Sferzata sì nell'aula di Palazzo Madama, ma non al punto da chiederne quelle dimissioni invocate invece fino a qualche giorno fa. Particolare non secondario, nelle ore in cui la pasionaria della Destra romana lanciava una petizione perché Lamorgese lasci l'incarico.
SALVINI MELONI BERLUSCONI
Il fatto è che, mentre Meloni si interroga sulle contraddizioni di questa coalizione con un piede fuori e uno dentro Palazzo Chigi, la Lega rientra nuovamente nei ranghi, riavvicinandosi a Draghi, malgrado le scaramucce in cdm sulla riforma delle pensioni, che non sarà più quota 100 ma 102 o 104 epperò, fanno notare in ambienti del Carroccio, non sarà comunque il ritorno alla Fornero.
SILVIO BERLUSCONI E MATTEO SALVINI
Quanto a Forza Italia, la collocazione ferma dentro il governo Draghi, a difesa di Lamorgese e contro le strizzatine d'occhio a No Vax e No Pass, non è neppure in discussione. Non a caso, ieri, la ministra Mara Carfagna che già aveva individuato nella competizione fra Salvini e Meloni un "problema" per il centrodestra, è tornata a muovere le sue critiche: "Bisogna scommettere sulle nuove speranze degli italiani anziché sulle loro vecchie rabbie: è questa la strada che il centrodestra dovrebbe imboccare senza esitazioni dopo il deludente esito dei ballottaggi".
Saranno tanti, i nodi da sciogliere per Berlusconi che si accinge all'ultima fatica con il metronomo in mano, per dettare il ritmo a una coalizione "cui serve una costituente o forse un ricostituente", per dirla con un'altra metafora, e il copyright è del sottosegretario Giorgio Mulè. Parola d'ordine è voltare subito pagina, mettere in archivio queste sciagurate elezioni affidate a candidature scelte da Meloni e Salvini che Berlusconi ha bocciato a urne ancora aperte. "Michetti? Ma su, era il civico ignoto", si toglie il classico sassolino Maurizio Gasparri.
silvio berlusconi con matteo salvini
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Il Quirinale è il primo banco di prova, e Meloni ha già lanciato verso il Colle Mario Draghi, nella prospettiva-speranza di elezioni anticipate che Forza Italia però non vuole e Salvini non si sa più.
Questo Berlusconi in versione Colonnello Kurtz dovrà fare la faccia dura con i giovani colleghi "sballottolati" ma anche cercare una via d'uscita soft, moderata, non fosse che per il fatto che Fi - pur avendo vinto a Trieste e in Calabria - resta l'ultima forza dello schieramento e soprattutto per la non secondaria circostanza che il Cavaliere crede nel sogno del Quirinale. E nessuno lo scoraggia.
giorgia meloni 9
Ma la coperta è corta: Berlusconi agli alleati dirà che si vince al Centro e non inseguendo minoranze di piazza, e inviterà i suoi a evitare le tentazioni lib-dem che pure sono forti fra ministri e parlamentari del Sud, come dimostra l'incontro fra Matteo Renzi e il presidente forzista dell'Ars Gianfranco Micciché. "Scommettere ancora su questo centrodestra è un'impresa", è l'opinione di molti berlusconiani attratti dal modello Ursula. Il Cavaliere proverà a dimostrare il contrario. Un vero miracolo.
berlusconi salvini renzi salvini renzi meloni Berlusconi