Gino Castaldo per espresso.repubblica.it
MANESKIN DAMIANO CON BANDIERA UCRAINA 2
Dopo il Coachella, manca solo il concerto alla Casa Bianca e poi la conquista dell’America potrà dirsi completa. La verità è che, oltre a dimostrare che gli algoritmi qualche volta si distraggono, che il rock non è morto oppure sì ma con le dovute eccezioni i Måneskin hanno sbaragliato diversi standard storici del tema “italiani all’estero”.
Prima di loro i connazionali ci hanno provato e riprovato, con alterni successi e in qualche caso con fragorosi disastri. Tutto nasce dalla prima volta, anzi dalle prime volte, quella di Caruso arrivando agli inizi del secolo scorso, o quella di Modugno che nel 1958 vinse tutto il vincibile e mostrò al popolo italiano una strada maestra.
Dopo di lui sembrava facile e invece le sbarre dei metaforici caselli si sono chiuse come una mannaia per non riaprirsi mai più.
MANESKIN DAMIANO CON BANDIERA UCRAINA
Ed è un peccato, lo possiamo dire, perché noi abbiamo un patrimonio musicale gigantesco, unico al mondo, una storia colossale con un cast stellare, da Mina a Lucio Dalla, da Battiato a Vasco Rossi, da Battisti a De André, tanto per citare solo alcuni nomi, abbiamo un patrimonio in grado di vincere i mondiali della musica, ma nessuno lo sa. Se c’è una cosa che è mancata è la capacità di vendere all’estero il nostro immenso patrimonio.
È andata molto bene in passato sul mercato latino: Laura Pausini, Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti sono diventati eroi della musica in lingua spagnola, ma sul mercato anglosassone non c’era verso, non c’è mai stato verso. Anche perché alcuni dei giganti ci hanno anche provato ma i risultati sono disastrosi. Lucio Battisti si era convinto, gli piaceva l’America, a un certo punto decise di provare a pubblicare un disco con le sue canzoni cantate in inglese.
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Bene, se volete preservare intatto il mito di Battisti, non andate ad ascoltare quelle versioni. Lo stesso vale per Battiato e perfino per Francesco De Gregori. Esiste una versione in inglese di “Rimmel” che fa capire perfettamente la vastità irrecuperabile del disagio. O i nostri più amati cantautori hanno studiato poco e male l’inglese, o forse quelle canzoni nella loro metrica irregolare vanno per forza cantate in italiano, altrimenti perdono molto del loro fascino. Bene ha fatto Paolo Conte a imporre ai francesi, che peraltro nelle sue canzoni “s’incazzano”, di ascoltarlo in italiano, a volte riesce, ma certo non nel mercato anglosassone.
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Per riuscirci bisognava fingersi “non italiani”, come ha fatto Sabrina Salerno, praticamente l’unica italiana capace di salire nella top ten dei singoli in Inghilterra urlando BOYS BOYS BOYS! Ecco perché il prodigio Måneskin è un prodigio, perché forse molti americani oggi stanno cantando “Siamo fuori di testa” in italiano, magari con l’accento di Shel Shapiro, ma in italiano.
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