Andrea Marinelli per corriere.it
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«Molti di noi stanno già scegliendo fra il cibo e l’affitto, e abbiamo scelto il cibo», racconta a Cnn Melissa Reyes, membro della Los Angeles Tenants Union, il sindacato degli inquilini, con un foulard leopardato a ripararle la bocca dal rischio di contagio e in mano un cartello che chiede l’amnistia immediata per l’affitto. Il coronavirus, l’affitto e il cibo sono i tre problemi che tormentano Reyes e gli altri inquilini di Los Angeles, scesi in strada il primo aprile — giorno in cui negli Stati Uniti si paga l’affitto — per manifestare contro i landlord, i padroni di casa che vogliono comunque essere pagati, e contro lo Stato che non li tutela. «Non possiamo lavorare, non possiamo lavorare», cantano le persone attorno a lei, mentre le auto addobbate con i manifesti della campagna «Food not Rent» — sì al cibo, no all’affitto — suonano il clacson in un assolato carosello di protesta.
In strada a Los Angeles ci sono attori che arrotondavano come camerieri, titolari di negozi, ristoratori, baristi, piccoli imprenditori, impiegati, cameraman, musicisti, lavoratori freelance che in un attimo sono rimasti senza uno stipendio a causa del lockdown imposto dal Covid-19: in due settimane, in tutto il Paese, 9,9 milioni di persone hanno fatto richiesta del sussidio di disoccupazione (3,3 la prima e 6,6 la seconda: il precedente record settimanale era di 695 mila e risaliva al 1982).
Eppure non è un caso che la protesta degli inquilini — pronti a indire un «rent strike», uno sciopero dell’affitto nazionale — sia partita dalla California, avamposto della crisi abitativa già prima della pandemia globale. «Non c’è mai stato un momento migliore per usare il piccolo potere che abbiamo, l’assegno del nostro affitto, per chiedere alla città e allo Stato di proteggere i diritti della maggioranza dei suoi costituenti», ha spiegato al Guardian Tracy Jeanne Rosenthal, co-fondatrice della LA Tenents Union. In città, ha aggiunto, circa 600 mila persone spendevano già il 90% dei loro guadagni in affitto: «Gli inquilini erano già in crisi».
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E così si stanno organizzando in gruppo, non pagano e fanno una serie di richieste collettive ai padroni di casa: una pratica, scrive il Guardian, che a Los Angeles è diventata piuttosto comune negli ultimi anni e che Reyes sta portando avanti insieme ai vicini del suo palazzo nel quartiere di Boyler Heights. «È una questione di sopravvivenza e necessità», dice, mentre un suo vicino, Kyle Cunningham, racconta di aver sempre pagato in tempo, ma da quando ha perso il suo lavoro da cameraman freelance non ha avuto altra opzione se non quella di sospendere i pagamenti. «È una situazione senza precedenti, devo spendere i soldi che ho per proteggere la mia famiglia e fare la spesa».
Per limitare i danni, il governatore democratico della California Gavin Newsom ha bloccato gli sfratti fino alla fine maggio, ma il suo ordine esecutivo obbliga al tempo stesso gli inquilini a fornire una documentazione per il mancato pagamento degli affitti — processo complicato ad esempio per gli immigrati senza documenti — e a ripagare quanto dovuto al termine dell’emergenza, lasciandoli dunque con un debito pesante sulle spalle. I proprietari di casa, oltretutto, possono comunque cominciare il processo di sfratto, e renderlo effettivo non appena la moratoria finirà.
A San Francisco, però, l’affitto mediano di un bilocale era di 3.600 dollari al mese lo scorso giugno, a Los Angeles 2,362 dollari, a New York 2,650 dollari, a Chicago 1,650: in tutto il Paese scende invece a 1,216, ma il peso di mesi di affitti da ripagare sarebbe insostenibile per le spalle degli inquilini.
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«In sei mesi mi potrei ritrovare un debito di 20 mila dollari da ripagare sull’unghia, e sarebbe impossibile dopo essere rimasta senza stipendio», spiega al quotidiano britannico Lupe Arreola, direttrice esecutiva di Tenants Together a San Francisco. Anche l’assegno da 1.200 dollari a persona previsto dal bazooka di Trump — il piano di aiuti da 2,2 mila miliardi per sostenere l’economia — non sarà abbastanza per alleggerire il peso che ricade sugli inquilini. Le protezioni più solide sono state approvate a Oakland, dall’altra parte della baia di San Francisco, dove la città ha proibito per due mesi gli sfratti, ma anche le sanzioni per il pagamento in ritardo e gli aumenti dell’affitto. Gli inquilini dovranno comunque ripagare gli affitti saltati al termine dell’emergenza, ma i proprietari non potranno sfrattarli per questo. «Una legge così dovrebbe essere approvata ovunque», ha spiegato l’avvocato Leah Simon-Weisberg. A Los Angeles, invece, ci sarà un mese di tempo per saldare il debito.
Secondo tutte le associazioni degli inquilini, insomma, l’ordine diramato da Newsom per aiutarli potrebbe portare a una crisi abitativa ben più catastrofica di quella che già minacciava la California prima della pandemia, e così chiedono la cancellazione degli affitti in tutto lo Stato e una moratoria più ampia su sfratti e pignoramenti. «La decisione è fra pagare l’affitto e morire di fame, oppure non pagarlo e comprare cibo», conferma Chris Estrada, membro del Los Angeles Center for Community Law and Action.
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In tempo di distanziamento sociale, però, la rabbia e la preoccupazione degli inquilini si manifesta soprattutto online, dove sono comparse decine di lettere inviate dai padroni di casa per chiedere il saldo dell’affitto: c’è chi dice che non è cambiato nulla è l’affitto è dovuto il primo aprile, chi offre un «periodo di grazia» di dieci giorni, chi consiglia agli inquilini licenziati di trovarsi un lavoro in un supermercato, come fattorino oppure da Amazon, Walmart e Domino’s. Come racconta su Twitter Jared Sevantez, giornalista del Los Angeles Times, il suo padrone di casa ha mandato una mail comune a tutti gli inquilini, chiedendo il saldo dell’affitto e suggerendo di richiedere un sussidio di disoccupazione, ma mettendo in copia tutte le persone in affitto nei suoi palazzi. «Ci ha appena dato la possibilità di organizzarci in gruppo», ha scritto, «fornendoci la mail di ogni singolo inquilino dei suoi palazzi: lo sciopero dell’affitto in un palazzo è forte, ma in tutti i suoi palazzi è fantastico».
Uno sciopero di massa, però, potrebbe dare vita a un effetto domino, come chiarisce a Cnn Matthew Heizmer, proprietario di un piccolo condominio acquistato con molti sacrifici poco prima della crisi del 2008, su cui ancora deve finire di pagare un mutuo. «Li capisco, vent’anni fa sarei stato al posto loro», ha spiegato, «ma non ho modo di gestire questa situazione oltre un paio di mesi». Se gran parte degli inquilini non dovesse pagare, «anche i padroni di casa, in particolare quelli più piccoli che operano su margini ridotti, non riuscirebbero a pagare i propri conti», spiega il New York Times, raccontando il punto di vista newyorkese — dove ci sono circa 5,4 milioni di persone in affitto — di una crisi che va ben oltre il fronte californiano, ma tocca tutto il Paese. «Cerco di non andare nel panico, ma in vita mia non ho mai visto niente del genere, e neanche i miei genitori o i miei nonni», afferma Christopher Athineos, la cui famiglia gestisce 9 edifici a Brooklyn con 150 inquilini.
Gli esperti sostengono che a New York circa il 40% degli inquilini, forse di più, non sarà in grado di pagare la mensilità di aprile. Il governatore Andrew Cuomo ha indetto una moratoria di tre mesi sugli sfratti, ma il problema degli affitti persiste. Le associazioni degli inquilini e dei proprietari di casa propongono a chi ha perso il lavoro di contrattare direttamente con il proprio landlord, ma intanto anche in città cominciano i primi scioperi dell’affitto e si intensificano le richieste di un intervento politico. «Se New York è in pausa, allora dovrebbe esserlo anche il nostro affitto», ha spiegato un’attrice di nome Lauren al Times, spiegando di aver contrattato con il proprio padrone di casa.
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Questa crisi, spiega Joseph Strasburg, presidente della Rent Stabilization Association, che rappresenta circa 25 mila padroni di casa, ha tutti gli ingredienti per provocare il collasso del settore immobiliare cittadino. Senza considerare che il primo luglio i proprietari di casa devono pagare la tassa sulla proprietà — la nostra Imu — che pesa per il 30% sulle entrate dell’intera città. E finanziano i servizi di base. In un Paese con 44 milioni di famiglie in affitto, chiarisce City Lab, le conseguenze economiche di uno sciopero dell’affitto sarebbero, a lungo termine, disastrose.