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    SPERANZA, ABBIAMO UN PROBLEMA - SE AUMENTANO I POSTI LETTO NELLE TERAPIE INTENSIVE, SERVONO PIU’ OPERATORI – CON L’INCREMENTO PREVISTO DEL 70% DEI POSTI, C’E’ BISOGNO DI 12MILA INFERMIERI E 3MILA MEDICI. SECONDO LA CORTE DEI CONTI, PERÒ, IL PERSONALE INFERMIERISTICO IN ITALIA È MOLTO INFERIORE ALLA MEDIA EUROPEA, A CIÒ SI AGGIUNGA CHE BEN 9MILA MEDICI NEGLI ULTIMI 8 ANNI SONO ANDATI A LAVORARE ALL'ESTERO…


     
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    Graziella Melina per “il Messaggero”

     

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    Il decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 19 maggio il problema della fragilità del sistema nazionale dopo l'emergenza da Covid lo esemplifica già nella prima parte del titolo: Misure urgenti in materie di salute. E i provvedimenti previsti - con uno stanziamento totale di tre miliardi e 250 milioni di euro -, come ha affermato il ministro della Salute Roberto Speranza, serviranno proprio per «rafforzare in maniera profonda e duratura il nostro Servizio sanitario nazionale». Ma visto che l'epidemia non è ancora passata, la priorità spetta ancora al Covid: per scongiurare il rischio che le terapie intensive non siano sufficienti, in caso di una seconda ondata del Sars Cov 2, si è voluto puntare in alto, prevedendo un incremento del 70 per cento dei posti di terapia intensiva, quindi ben 3500 in più.

     

    CORONAVIRUS - PAZIENTE IN TERAPIA INTENSIVA CON IL RESPIRATORE CORONAVIRUS - PAZIENTE IN TERAPIA INTENSIVA CON IL RESPIRATORE

    LA FORMULA

    Nelle intenzioni del governo si dovrebbe passare insomma da 5.179 (pre-emergenza) a 8.679. In aggiunta, è stata prevista anche la predisposizione alla terapia intensiva, con la sola implementazione di ventilazione meccanica e monitoraggio, di 2.112 posti letto di terapia semintensiva. Eppure, di fronte a questi numeri, Luciano Gattinoni, guest professor all'Università di Göttingen, e tra i tanti incarichi past president della Società rispettivamente italiana, europea e mondiale di terapia intensiva, resta perplesso.

     

    «Il problema - premette - non è se aumentare oppure no i posti, e in quali tempi, quanto piuttosto se sia realistico o meno questo progetto. Se in questo momento, con una bacchetta magica, raddoppiassimo le terapie intensive, la qualità della cura delle persone sarebbe uguale alla metà: il posto di terapia intensiva non è costituito soltanto da un letto e da un respiratore con un monitor, ma anche da infermieri, anestesisti e rianimatori.

     

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    E se mancano, la cosa non funziona». La ragione sta tutta in una «formuletta», come la chiama Gattinoni, che definisce in concreto lo standard della terapia intensiva: perché sia definita tale è necessario che ogni due letti ci sia un infermiere sempre presente 24 ore; dunque, in concreto ne servirebbero circa 7. Se quindi si ha intenzione di aumentare i posti di altre 3.500 unità, vorrebbe dire che servirebbero più di 12mila infermieri. Di medici, invece, ne servono 1 ogni 6 letti, quindi sui 3mila.

     

    Secondo la Corte dei Conti, però, il personale infermieristico in Italia è molto inferiore alla media europea, a ciò si aggiunga che ben 9mila medici negli ultimi 8 anni sono andati a lavorare all'estero. In realtà, nel decreto, sono stati previsti oltre ad un incremento delle risorse per straordinari del personale ospedaliero (190 milioni di euro), anche ulteriori assunzioni (241 milioni di euro) e un aumento di 4.200 borse di specializzazione in area medica.

     

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    «Ma se si vuole arrivare a 3500 posti in più - rimarca Gattinoni - le borse destinate ai rianimatori e anestesisti non basteranno». Si potrebbe comunque ovviare ricorrendo «agli specializzandi del quarto e quinto anno, dando loro più responsabilità. In Lombardia lo stanno facendo. In altri Paesi europei lo fanno già. Occorre uscire dai nostri stereotipi nazionali - spiega - mettere un po' di flessibilità e assumersi le responsabilità».

     

    I NUMERI

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    Ma la questione di fondo sta comunque sempre nei numeri. «Per le terapie intensive, occorre procedere per gradi. Per tutto il sistema sanitario, in realtà, il 30 per cento in più dei posti è sufficiente. Quello che serve davvero è una organizzazione della medicina territoriale. Bisogna partire innanzitutto dai medici generalisti». È pur vero però che la carenza di terapie intensive è stato il vero tallone d'Achille del sistema. Durante la fase acuta della pandemia, ricorda Gattinoni, «non a tutti i pazienti l'abbiamo potuta assicurare. Ora quindi bisogna evitare che questo avvenga di nuovo. Ma bisogna soprattutto investire sulle persone, sull'educazione, la formazione, la cultura e non solo sulle attrezzature e i posti letto».

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