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    “SE NASCI DALLA PARTE SBAGLIATA, MUORI DALLA PARTE SBAGLIATA” - ALDO GRASSO SU “LA CASA DI CARTA”: "THRILLER RIUSCITO NONOSTANTE LE ESAGERAZIONI. L'IMPORTANTE ERA COME USCIRE DA MADRID, DALLA BANCA DI SPAGNA E DALLA SERIE, SENZA RICORRERE A SOLUZIONI IDEOLOGICHE (INIEZIONE DI LIQUIDITÀ NEL PAESE REALE E NON NELLE BANCHE, COME FA LA BANCA CENTRALE EUROPEA) O SENZA IMMOLARSI CANTANDO "BELLA CIAO". ALLA FINE VINCE… - VIDEO


     
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    Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”

     

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    «Se nasci dalla parte sbagliata, muori dalla parte sbagliata», dice uno dei protagonisti di «La casa di carta». Come in ogni grande thriller, non esiste solo il piano perfetto, esiste anche il destino a scombinare le carte. Niente spoiler, tranquilli. Anche se ormai la visione in streaming ha fatto saltare tutte le regole delle recensioni (ha solo generato quella mostruosità linguistica che si chiama «embargo stampa» che tanto piace agli uffici stampa).

     

    Dirò solo, a proposito di «La casa di carta», che c'è un finale riuscito capace di risolvere alcune incongruità del lungo racconto e di riscattare, ironicamente, le non poche cadute nel trash. È un finale già visto in alcuni film, così come, fra le pieghe della serie, fa spesso capolino Inside Man di Spike Lee (anche lì si trattava di una banda di rapinatori che prende in ostaggio dipendenti e clienti). Ma va bene così.

    LA CASA DI CARTA LA CASA DI CARTA

     

    Non sono poche le serie che sono franate per non aver saputo come chiudere il racconto.

     

    L'importante era come uscire da Madrid, dalla Banca di Spagna e dalla serie, senza ricorrere a soluzioni ideologiche (iniezione di liquidità nel paese reale e non nelle banche, come fa la Banca Centrale Europea) o senza immolarsi cantando «Bella ciao». Alla fine vince l'amore, com' era auspicabile.

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    Sierra (Najwa Nimri) ritrova il Professore (Álvaro Morte), così i due ex acerrimi nemici si trasformano in novelli Bonnie e Clyde. Come si poteva intuire dalle prime stagioni, «La casa di carta» gioca su continui ribaltamenti delle convenzioni: i criminali vengono acclamati e le maschere di Dalì diventano simbolo del populismo di sinistra in tutto il mondo. Ma più che denuncia sociale, la serie è semplicemente un riuscito esempio di guilty pleasure sociale, quel meccanismo che ci tiene incollati a una storia anche quando ne percepiamo le esagerazioni. Senza vergognarcene e sentendoci, in fondo, parte della Storia.

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