Marco Molendini per il Messaggero
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Trentuno e passa minuti fuori dalle regole e dominati da un' ipnotica colonna ritmica, da fiati arrembanti, dalle voci di un coro femminile, dal canto declamato del leader, Fela Anikulapo Kuti, smisurato James Brown africano, l’inventore dell’afrobeat, il pop africano che shakera musica yoruba tradizionale, jazz, soul, funk, reggae. Un iperbolico leader musicale, politico e familiare (una volta ha sposato 27 donne, sue coriste, tutte in una volta, per poi divorziare sempre in blocco).
Overtake Don Overtake Overtake, pescato nel serbatoio senza fondo di Spotify, è un’immersione nel suo delirio musicale, sferzata sapiente e leggera, beffarda filippica strumentale e verbale contro la dittatura militare del suo paese, la Nigeria, dove il titolo riassunto nell’acronimo O.D.O.O è uno slogan: Superare Non Superare Superare.
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Un brano anomalo per lunghezza, intensità, gioia, forza ammaliante scandita da una forsennata pulsazione ritmica insieme libera e rigida (nella costruzione ideologica di Fela esprime la forza del regime militare contrastata dall’esuberanza dell’afrobeat) che si scontra con le accuse del testo, rivolte agli usurpatori militari. Una denuncia in forma di baccanale, un rituale senza sconti di sorta: la musica intesa come arma.
Non è difficile capire, ascoltando questa mezz'ora infuocata, che si fa strada con un’overture solo strumentale di 12 minuti, e ricordando i concerti esagerati di Fela e della sua brigata, gli Egypt 80 (me ne vengono in mente due, estenuanti, sul finire degli anni 80, al Tendastrisce e al Mattatoio di Testaccio) perché sia diventato un mito africano, non solo per la sua fierezza e per lo spirito guerriero (che gli ha procurato anche il carcere) o per quella invenzione dell'afrobeat, ma per l’esuberanza condita dall'energia di un'orchestra larga.
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Una sorta di manipolo familiare (per tanti versi simile, per ordine e struttura, a un'altra truppa musicale che viveva come in una comune, la straordinaria Arkestra di Sun Ra) che alza la voce con tutti i suoi sette fiati (con due sax baritono che danno profondità all’impasto) che producono suoni cavernosi incuranti delle ance che fischiano o delle intonazioni approssimative, il coro risponde e Fela, il domatore, canta, balla, suona, dirige, declama con tutto il suo talento e la sua sapienza musicale.
Una sapienza che affonda nella tradizione più scura del Continente nero, ma che si è addestrata nella Londra che si avviava ai swinging sixties, dove l’allora ventenne giovanotto nigeriano non solo seguiva le lezioni al conservatorio, ma frequentava i club, ammirava il contagioso Louis Prima e faceva jam session con il coetaneo Ginger Baker. A trent’anni di distanza O.D.O.O. (che è del 1989) conserva tutta la sua potenza vitale, testimonianza esplicita delle gesta di un gladiatore stroncato dall’Aids a 58 anni. Il suo funerale, 24 anni fa, è stato l’ultimo trionfo, con un milione di persone a tributargli omaggio.
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marco molendini foto di bacco