Marco Giusti per Dagospia
marino mase
Se ne va uno dei belli del cinema italiano degli anni ’60, il triestino Marino Masé, 83 anni, attivissimo sia nel cinema di genere, thriller, polizieschi, spy, peplum, che nel cinema d’autore, avendo recitato per maestri come Luchino Visconti, “Il gattopardo”, Liliana Cavani, “Il portiere di notte”, Marco Bellocchio, “I pugni in tasca”, ma anche Ettore Scola, “La congiuntura”, Dino Risi, “I mostri”.
E, soprattutto, Jean-Luc Godard, che lo volle protagonista di un suo bellissimo e rarissimo film concepito assieme a Roberto Rossellini, “Les carabiniers”. Da qualche parte devo avere ancora una lunga intervista a Marino Masé che mi tenevo da parte per quando avrei potuto fare uno special di Stracult su “Les carabiniers”.
Fu Rossellini a indicarlo a Godard per il ruolo di Ulysse, il contadino che diventa uno dei due carabiniers. Ma lavorò anche per Francis Coppola nel “Padrino – Parte III”, per Fernando Di Leo ne “Il boss”, per Vincent Minnelli in “Nina”, per il suo amico Piero Vivarelli nel tardo erotico con Moana “Provocazione”. Una carriera di oltre cento film, senza contare i caroselli e i telefilm.
marino mase il padrino
Nato a Trieste nel 1939, a vent’anni entra nel mondo del cinema vincendo un concorso per giovani attori della Vides di Franco Cristaldi, poi entra nella sezione romana dell’Actors Studio assieme a altri attori della sua generazione e lo troviamo a teatro nell’”Arialda” di Giovanni Testori con la regia di Luchino Visconti.
Sarà Visconti a portarlo, assieme a tanti bei giovani del tempo, da Mario Girotti a Giuliano gemma, da Angelo Infanti a Pierre Clementi, sul set di “Il gattopardo”. Alto, bello, elegante, molto simile al modello degli 007 del tempo, il cinema lo sfrutta da subito, anche se gli mancherà sempre qualcosa per poter diventare un vero protagonista.
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Il primo film dovrebbe essere il sandalone “Il ratto delle sabine” diretto da Richard Pottier, 1961, dove è protagonista Roger Moore, e assieme a lui ci sono le bellissime Mylene Demongeot e Giorgia Moll. Lo troviamo poi in “Un tentativo sentimentale” di Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa con Françoise Prevost e Jean-Marc Bory, ne “L’idea fissa” di Mino Guerrini e Gianni Puccini.
Dino Risi ne “I mostri”, 1963, lo vuole nell’episodio “L’oppio dei popoli”, dove un marito, Ugo Tognazzi, guarda la tv fino alla fine delle trasmissioni, interessato solo al piccolo schermo, mentre la moglie lo tradisce in camera da letto. “Cara, cosa ti sei persa”, è il commento del marito prima di andare a letto.
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Marco Bellocchio, alla sua opera prima, “I pugni in tasca”, lo sceglie nel ruolo del fratello borghese di Lou Castel. Passa dal peplum, “Golia alla conquista di Bagdad” di Domenico Paolella all’horror col. Notevole “Amanti d’oltretomba” cdi Mario Caiano con Barbare Steele, dalla spy, “Le spie amano i fiori” di Umberto Lenzi con Roger Browne, alla commedia all’italiana, “La congiuntura” di Ettore Scola con Vittorio Gassman.
Dopo aver recitato con Godard e Bellocchio, lo troviamo anche in coproduzioni francesi, come il divertente “Tre gendarmi a New York”, 1965, di Jean Girault con Louis De Funés, mentre la MGM lo mette sotto contratto per una serie di telefilm, “Jericho” (“Codice Gerico”, 1966-1967), che lo porterà addirittura a Hollywood come coprotagonista di Don Francis.
Anche se la serie non fu un successo, Marino Masé era diventato un nome da poter spendere per le coproduzioni internazionali. Lo ricordiamo in “A qualsiasi prezzo” di Emilio P. Miraglia con Walter Pidgeon e Klaus Kinski, “Commandos” di Armando Crispino con Lee Van Cleef, “Un esercito di cinque uomini” di Italo Zingarelli con Bud Spencer.
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Diviso fra il cinema d’autore del tempo, “I cannibali” e “Il portiere di notte” di Liliana Cavani, ma soprattutto “N.P. il segreto” di Silvano Agosti e il cinema di genere, “La dama rossa uccide sette volte” di Emilio Miraglia, è molto attivo anche in tv, dove diventa presto un volto familiare. Nei primi anni ’70 gira anche molta pubblicità nel ruolo dell’uomo bello e sicuro di sé, ne ricordo una per gli abiti Monti diretta da Luciano Emmer, una per Recoaro diretta da Ruggero Deodato.
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Funziona bene ovunque. Sia nelle stravaganze internazionali, come “Identikit” di Giuseppe Patroni Griffi con Elizabeth Taylor e Andy Warhol, sia nelle produzioni autoriali italiane più strampalate, “Maternale” di Giovanna Gagliardo, sia nel cinema di genere più ricco, “Zorro” di Duccio Tessari.
Negli anni’80 gira davvero di tutto, da “Assassinio sul Tevere” di Bruno Corbucci con Tomas Milian a “Contamination” di Luigi Cozzi, da “King David” di Bruce Beresford a “Provocazione” di Pieri Vivarelli o “Emanuelle: perché violenza alle donne?” di Joe D’Amato.
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Lo troviamo anche in buoni film, sfruttando la sua esperienza hollywoodiana, da “Il ventre dell’architetto” di Peter Greenaway a “Il padrino parte III” di Coppola, da “Tenebre” di Dario Argento a “Cercasi Gesù” di Luigi Comencini, da “Il camorrista” di Giuseppe Tornatore a “Dimenticare Palermo” di Francesco Rosi. Ha lavorato fino all’ultimo nel cinema, sia come attore che come traduttore e adattatori. Infaticabile.
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