Alessandra Muglia per il “Corriere della Sera”
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Un numero di casi basso e stanchezza per il virus alta. Così la pandemia è passata in secondo piano rispetto ad altre emergenze. «Il calo di attenzione nei governi e tra la gente è un problema enorme in questo momento. Con una nuova variante ogni quattro mesi, non possiamo farci trovare impreparati all'arrivo della prossima ondata». Va dritto al punto Seth Berkley, ceo di Gavi, partnership pubblico-privata alla testa di Covax, l'iniziativa globale che guida gli sforzi per garantire un accesso equo ai vaccini anti Covid-19 nei Paesi a basso e medio reddito.
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Un'idea nata nel gennaio 2020 davanti a un tavolino dell'Hard Rock Hotel di Davos. Berkley era con un'altra figura di spicco della salute globale, Richard Hatchett, direttore di Cepi, il programma di distribuzione mondiale del farmaco. E mentre da Trump in giù buona parte del mondo minimizzava la sfida contro il coronavirus, ancora ai suoi esordi, questi due epidemiologi lanciavano l'allarme: servivano dei vaccini e un sistema di acquisti comune, per ridurne i costi e distribuirli in modo equo. Lo stesso modello cooperativo già adottato contro la difterite, per esempio. Ma questa volta non si trattava di un'epidemia limitata ad aree remote. «C'è stata la corsa all'accaparramento delle dosi da parte dei Paesi ricchi e Covax si è trovata a competere con loro: occorre evitare che Paesi a basso reddito si ritrovino di nuovo in fondo alla coda», sostiene Berkley.
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Sono 44 i Paesi con tassi di vaccinazione sotto il 20%, un terreno fertile per l'imporsi di nuovi ceppi. Per alcuni la prova che buona volontà e cooperazione non bastano.
«Siamo partiti due anni fa senza personale e denaro, con la consapevolezza che nessun altro era pronto a farsi avanti. Sapevamo che il nostro lavoro non sarebbe stato facile. Finora abbiamo consegnato 1,4 miliardi di dosi e il tasso di vaccinazione medio nei 92 Paesi Covax è salito al 42%. La verità è che il mondo avrebbe dovuto avere un piano prima della pandemia. Invece ci siamo ritrovati a raccogliere i fondi per acquistare le dosi mentre il virus dilagava. Poi abbiamo recuperato: a gennaio erano 34 i Paesi con meno del 10% della popolazione vaccinata, tre mesi dopo sono scesi a 19. È facile criticare questi sforzi, più difficile è trovare un'altra soluzione».
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Domani ci sarà il summit di Covax ospitato dal governo tedesco, per stare un passo davanti al virus. In che modo contate di riuscirci? «Puntiamo a raccogliere almeno 5,2 miliardi di dollari. Con tre obiettivi: aiutare i Paesi più indietro nella protezione vaccinale prima che scoppi una nuova ondata; coprire i costi accessori legati alle dosi donate, per esempio quelli per le siringhe; metterci in grado di poter acquistare fiale appena ce ne fosse bisogno».
Più che la scarsità di dosi, è stata l'esitazione vaccinale a rallentare le somministrazioni. Che cosa state facendo per assicurarvi che ogni vaccino si trasformi in vaccinazione?
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«L'esitazione vaccinale continua a essere più alta nei Paesi ad alto reddito rispetto a quelli a medio. La principale causa è la politicizzazione del vaccino, con i social che amplificano il messaggio. "Se negli Usa e in Europa dicono che il vaccino aumenta l'infertilità qualcosa di vero ci sarà", considerano molti nel Sud del mondo, per esempio. Prevediamo finanziamenti per coinvolgere i leader delle comunità africane. Insieme con i nostri partner, Unicef e Oms, stiamo lavorando con società di social media e sviluppatori di contenuti per fare in modo che quando qualcuno cerca un'informazione non finisca subito su qualche sito di teorie cospirative: in questo stiamo investendo tra i 50 e i 100 milioni di dollari. I Paesi a basso reddito hanno ricevuto finora un miliardo di dollari per consegnare le dosi, istruire il personale sanitario e rafforzare la sensibilizzazione delle comunità».
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Quale è l'impatto della guerra in Ucraina? «Vorrei esprimere al popolo ucraino la mia solidarietà. Sosteniamo questo Paese da anni. Non è un periodo facile per raccogliere fondi. Dall'Europa agli Usa l'emergenza ora è diventata la guerra. E il Covid, così come il clima, sono passati in secondo piano, ma non sono problemi risolti. I leader non possono venire meno all'impegno di porre fine a una pandemia costata finora 12 trilioni di dollari, che ha ucciso oltre sei milioni di persone. Non è il momento di fermarsi, occorre anzi raddoppiare gli sforzi». Come valuta il contributo dell'Italia a Covax? «Guardiamo all'Italia per un ruolo di leadership in questa fase. L'Italia è stata una forte sostenitrice di Covax nel 2021, quando ha ricoperto la presidenza del G20. Negli ultimi due anni, il suo contributo di 470 milioni di dollari e oltre 38 milioni di dosi donate ci hanno permesso di raggiungere tappe importanti».
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