Riccardo Lo Verso per il "Corriere della Sera"
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«Se so che hai qualcuno ti piglio a colpi di pistola, prima a te e poi a lui», aveva urlato Antonino Sciuto a Vanessa. Era la vigilia dello scorso Natale. Una lunga scia di episodi ha preceduto il femminicidio di Aci Trezza. Per mesi Vanessa, assassinata con sette colpi di pistola alla testa domenica notte, è stata minacciata di morte, pedinata e picchiata. Nonostante la vittima avesse denunciato e fatto arrestare il suo ex, Sciuto era rimasto in libertà.
ANTONINO SCIUTO
«Con le leggi giuste — dice il padre di Vanessa — si sarebbe potuto evitare l’omicidio di mia figlia, ma anche quelli che ci sono stati e quelli che verranno dopo. Quelli come Sciuto li devono chiudere e recuperare perché hanno dei problemi. Il suo suicidio? Si è tolto dai piedi e non può fare più danni».
Il giudice
L’8 giugno scorso Vanessa chiamò i carabinieri. Era stata seguita da Sciuto fino alla casa di Trecastagni. Fu arrestato in flagranza di reato. La Procura di Catania aveva chiesto i domiciliari, ma il giudice per le indagini preliminari gli impose il solo divieto di avvicinamento alla vittima. La «prescrizione» che obbligava Sciuto a «mantenersi ad almeno 300 metri di distanza» da Vanessa è rimasta lettera morta. Non poteva proteggerla dalla furia del suo carnefice. E adesso è polemica sul provvedimento del giudice Filippo Castronovo.
VANESSA ZAPPALA
Ma in sua «difesa» interviene Nunzio Sarpietro, presidente della sezione gip del tribunale di Catania: «Non mi sento di contestare alcuna colpa al collega, ha agito secondo legge: nel fascicolo c’erano anche elementi contrastanti di cui ha tenuto conto, come un primo riavvicinamento tra i due». Poi una frase destinata ad alimentare le polemiche: «Anche se lui fosse stato ai domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso il delitto. È difficile controllare tutti gli stalker , noi emettiamo come ufficio 5-6 ordinanze restrittive a settimana ed è complicato disporre la carcerazione perché occorrono elementi gravi e, comunque, non si può fare fronte ai fatti imponderabili».
La procura
Di «decisione opinabile ma rispettabile, come lo era d’altra parte la nostra richiesta» parla il procuratore Carmelo Zuccaro, che allontana ogni sospetto di scontro fra gli uffici. Per entrambi i magistrati c’è una evidente falla nel sistema. Secondo il capo dei pm «occorrerebbero dei centri di riabilitazione con l’obbligo di frequentazione per monitorare gli stalker e tentare di recuperarli». Sarpietro propone l’utilizzo di «un braccialetto elettronico per l’indagato che segnali la sua presenza e un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli».
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Di umiliazioni Vanessa ne aveva subite tante, troppe. L’11 aprile si trovava in un bar a Pedara assieme a tre cugine. Era il giorno del suo compleanno, il ventiseiesimo, l’ultimo che festeggerà. Nel locale entrò Sciuto. «Mi sputa in faccia, urla femmina puttana, divertiti che poi mi diverto io — ricostruiva Vanessa nella denuncia —, con il telefonino mi ha rotto gli occhiali». Lei aveva provato a concedergli «un’altra possibilità perché diceva che sarebbe diventato un uomo migliore». Era una bugia. Riprese subito a picchiarla: «Mi ha provocato lividi con calci e pugni in diverse parti del corpo».
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La vittima
Vanessa viveva nel terrore e chiedeva un provvedimento urgente per fermare il suo ex. Il pericolo di reiterazione del reato era stato considerato «concreto e reale» dal giudice che aveva convalidato l’arresto. Allo «stato» però, così scriveva nell’ordinanza di custodia cautelare, si poteva fare affidamento sullo «spontaneo rispetto delle prescrizioni dell’indagato non gravato da precedenti recenti e specifici». Domenica notte Sciuto ha superato la soglia limite di 300 metri e ha ucciso Vanessa.
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