Davide Brullo per "il Giornale"
teresa ciabatti
II «romanzo da camera» è un genere a sé, ha la levigata asciuttezza della crudeltà, l'indolenza di chi prepara vendetta. Vi eccelleva Henry James - leggete La tigre nella giungla, ad esempio -, richiede la maestria ritmica di Franz Schubert, una tenera ferocia: pochi personaggi, vicenda lineare, spesso narrata da una voce, isolata, spietata.
Il «romanzo da camera» non ha altro orizzonte che l'estrema verticalità: si setacciano i personaggi (a volte, soltanto uno) fino al punto d'esplosione. Insomma: è come fare i gargarismi con i piranha in gola. Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti (Mondadori 2021, pagg. 238, euro 18) è un «romanzo da camera» che narra di una scrittrice eletta dalla fama - l'autrice, tra i fumi e le funi della fiction -, delle sue delusioni coniugali, dei variopinti tradimenti
(«Ho cominciato a tradire mio marito il giorno prima del matrimonio»), del cattivo rapporto con la figlia, delle antiche amiche, Federica e Livia; quest'ultima, un tempo bellissima, ulcerata da un incidente, un cristallo in demenza.
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Stando alla descrizione, dalla grammatica involuta, fornita dall'aletta («Un romanzo di madri e di figlie, di amiche, in cui l'autrice, con una scrittura che si è fatta più calda e accogliente, senza perdere nulla della sua affilata potenza, mette in scena con acume prodigioso le relazioni, tra donne e non solo»), è il libro di una donna scritto per donne (alla «menopausa anticipata, un fenomeno molto più frequente di quel che si pensa» sono dedicate diverse trascura-bili riflessioni).
Il «romanzo da camera» si tramuta quasi subito in camera degli onori letterari, in claustrofobica noia -è scritto male, tra l'altro, come su un sottobicchiere, a casaccio la pia geremiade di Teresa Ciabatti (le pagine che riguardano il rapporto con la figlia non sono strappalacrime, ma peggio: «Io lamento la disattenzione di lei nei miei riguardi, la totale indifferenza. Cosa ho sbagliato, chiedo»).
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La parte più interessante del romanzo è a pagina 193, quando l'autrice svela che «il mio rapporto col sesso è stato ambiguo dalle origini. Schifo fino alla nausea, voglia fino alla nausea», e fa la fatidica domanda, «Non vi vergognate ad avercelo piccolo?...
Non preferireste morire piuttosto che giacere nel letto quando non vi si alza?», degna di sviluppi romanzeschi. Solo che la Ciabatti, autonominatasi la «Joan Didion italiana, io», non è Philip Roth, mira a mala pena allo stitico stile di Marguerite Duras, dovrebbe sapere che ignorare la differenza tra egotismo ed egolatria comporta esiti letterari devastanti.
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Romanzo d'abissale superficialità, senza veleno, a tratti avvilente («Abbiate pietà per questa donna presentatasi come la più gran-de scrittrice vivente, la provinciale disadattata che ce la fa, s'impegna e ce la fa, applausi»), Sembrava bellezza dimostra, semmai, che a raccontare le donne sono più bravi gli uomini - pigliate Cronache maritali e godete: che inespugnabile erotismo l'Élise ideata da Marcel Jouhandeau.
Così, lo sfogliate, pagina per pagina, attendete l'assalto della tigre, o per lo meno la sua ombra - come nel fatale racconto di James -, e ovunque non c'è che il grigiore, la palude, i cauti conati del nulla.
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