Gianmaria Tammaro per Dagospia
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Ogni tanto, dice Michele Venturi, l’avvocato protagonista di “Liberi tutti” interpretato da Giorgio Tirabassi, un bel vaffanculo è quello che ci vuole, e ha ragione. Nella prima serie originale di Raiplay disponibile in streaming da domani, 12 episodi da 30 minuti ciascuno, produzione Rai Fiction e Italian International Film, un vaffanculo, spesso, fa la differenza. Ma non è un vaffanculo volgare, pesante, intristito. È un vaffanculo sincero, che ribadisce le libertà fondamentali dell’uomo, il suo inviolabile diritto alla privacy, rimarcando la sua profonda natura di animale asociale.
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Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, sceneggiatori di “Boris” insieme a Mattia Torre, scrivono e dirigono, e la loro firma, il loro stile, si riconoscono fin dalla prima inquadratura. Dissacranti, senza pietà, scorretti. Finalmente, verrebbe da dire: finalmente c’è qualcuno che ha voglia di prendersi (e prenderci, soprattutto) in giro. La loro non è un’ironia blanda, biascicata, che gioca con le banalità. Ma è un’ironia a tratti sottile, a tratti sfuggevole; a tratti, addirittura, invisibile. Parlano di noi, ci sfottono, ma lo fanno così bene, così elegantemente, che quasi sembra ci stiano facendo dei complimenti.
Michele è un avvocato truffaldino che finisce agli arresti domiciliari e che è costretto, perché non ha altri posti dove andare, a vivere insieme alla sua ex moglie (Anita Caprioli), nel complesso di cohousing che, dice, gli ha rovinato il matrimonio. Per rimanere, ha bisogno del voto dei suoi nuovi vicini, e riesce a convincerli mentendo, raggirandoli, facendo leva sulla loro buona fede.
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Michele è uno squalo, e Tirabassi è perfetto per la parte. È bravo quando subisce, quando rigira la frittata, quando si lascia andare a monologhi, a sfuriate e sì, ai vaffanculo. Insieme a lui e alla sua ex-moglie, Eleonora, ci sono anche il nuovo compagno di lei, interpretato da Thomas Trabacchi, e la loro figlia, Chiara, interpretata da Ludovica Martino. Ecco, tra i momenti migliori della serie – delle prime puntate, almeno – ci sono proprio quelli tra Michele e Chiara. In particolare, proprio alla fine del terzo episodio, c’è un liberatorio “quant’è bello farsi i cazzi propri” che li riunisce e li riavvicina più e meglio di qualunque altra cosa.
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Ciarrapico e Vendruscolo si sono circondati di bravi attori, molti dei quali visti anche in “Boris” (un nome su tutti, indimenticabile, Caterina Guzzanti), e hanno messo in scena una storia che, molto semplicemente, fa scontrare due stili di vita opposti, due modi diversi di vivere sé stessi e gli altri: da una parte Michele, che ci sembra così terribile, così lontano da noi, così inqualificabile; e dall’altra ci sono persone che vogliono condividere tutto, in qualunque momento, che credono di vivere nel modo più sano possibile, e di star facendo del bene all’ambiente (e invece).
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Tutta la storia viene commentata da due poliziotti che tengono sotto controllo Michele, interpretati da Carlo De Ruggeri e da Luca Amorosino: anche loro, a guardare bene, sono l’ennesima sfumatura di un’umanità troppo seria, decisamente tragicomica, e inconsciamente noiosa.
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“Liberi tutti” carbura lentamente: il primo episodio fa da prologo, con Tirabassi protagonista assoluto. Poi, puntata dopo puntata, prende coraggio e forza, e vengono fuori tutta l’ironia e tutto il sarcasmo della scrittura (che resta, insieme all’interpretazione di Tirabassi, la cosa migliore). Questa è una commedia che funziona per le situazioni che si creano, per gli scambi tra i personaggi, e più sono fraseggi intimi, tra pochi, migliore è il risultato.
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Non mancano le stoccate di satira sociale e politica: c’è Marcello, fidanzatino di Chiara, che si dice “sovranista”, che è barbuto, un po’ lento e profondamente confuso. Michele lo prende in giro, si vede, e poi chiede a Chiara: ma perché ti piace così tanto? E lei: sai cosa? Non ce la faccio più a stare in questo posto, con questa gente che non ti lascia mai sola, e voglio qualcosa di diverso. Eccola qui, la lezione, meglio di dieci, cento, mille editoriali in prima pagina: delle volte, quello che vogliamo è solo qualcosa di diverso, anche se è peggiore di quello che avevamo prima. E non c’è modo migliore, più chiaro, per capirlo che ridendoci su.
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