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    SERIE DA PRENDERE SUL SERIO – “RIVIERA” È UN INSIEME TRITO E RITRITO DI LUOGHI COMUNI, HA UNA SCENEGGIATURA COSÌ FIACCA E POMPOSA CHE È DIFFICILE CREDERLE ANCHE PER UN SOLO SECONDO – UN PO’ SOAP, UN PO’ SERIAL E UN PO’ FICTION: È UN RIEMPITIVO, LA QUINTESSENZA DELLA BULIMIA DEL PICCOLO SCHERMO. INTRATTIENE, CERTO, MA DI TEMPO CE N’È SEMPRE MENO E LE SERIE COME QUESTA FINISCONO TUTTE PER SOMIGLIARSI – VIDEO


     
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    Gianmaria Tammaro per Dagospia

     

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    Il talento, diceva Totò, va premiato. Ovviamente lui esagerava e tutto faceva parte di una gag di un film, “Totò a colori”, un primissimo tentativo di andare all’assalto dei boriosi snobisti. Ma qui parliamo di serie tv, che sono un altro affare, e di “Riviera”, produzione originale di Sky. E il talento, a trovarlo, vogliamo premiarlo anche noi.

     

    A qualcuno “Riviera” piace (altrimenti non l’avrebbero rinnovata per una seconda stagione, va detto). Ma resta uno dei misteri televisivi più curiosi degli ultimi anni. La golden age delle serie, dicono i teorici del piccolo schermo, è finita: siamo nell’era della peak tv, e quindi si produce tanto e male e si punta sulla quantità e non sulla qualità. E va bene, va benissimo: in questo senso “Riviera” non è l’eccezione alla regola, ma la regola stessa; è un insieme trito e ritrito di luoghi comuni, una sceneggiatura così fiacca e pomposa che è difficile crederle anche per un solo secondo.

     

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    Creata da Neil Jordan, è riuscita a diventare il – citiamo – più grande successo di Sky UK con “2.3 milioni di spettatori ad episodio e circa 20 milioni di download e di views totali”. E anche in Italia è andata bene.

     

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    C’è lei, interpretata da Julia Stiles, che è giovane, piacente e vedova. Dopo la morte del marito, molto più grande e vecchio di lei, si ritrova in un giro assurdo di complotti e soldi, e da felice mogliettina pronta a spendere e spandere per comprare opere d’arte passa a indagare, armata e spaventata, circondata da parenti serpenti tutti uguali (che pippano, minacciano, che sono dei casi umani). Su Sky Atlantic sta andando in onda la seconda stagione, mentre su Canale5 sta andando in onda la prima (“prima tv in chiaro”, la chiamano; c’è un nome per qualunque cosa).

     

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    Non è una bella serie. Non è nemmeno lontanamente paragonabile ad altre produzioni di Sky. È un’altra cosa. È un mostro di Frankenstein. Una chimera. Un po’ soap, un po’ serial e un po’, un bel po’, fiction. Quando gli scrittori hanno pensato ai personaggi avevano in mente solo una cosa: facciamoli banali. E per quanto riguarda la storia, è un pigrissimo testacoda di sorprese, rivelazioni e colpi di scena. È un guilty pleasure, “Riviera”: si vede perché si fa vedere; alla fine lascia poco, per non dire addirittura niente; e dopo nemmeno dieci minuti dai titoli di coda, è già dimenticata.

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    È un passatempo, ecco. Un riempitivo. La quintessenza della bulimia del piccolo schermo.  E a qualcuno, lo ridiciamo, piace. Piace tanto. Piace sinceramente. Piace non si sa bene perché, ma piace. Sky ha visto la gallina dalle uova d’oro (un po’ sfatte, via) e ha deciso di puntarci. È una serie che parla d’estate, quindi perfetta per la stagione. È ambientata in Costa Azzurra, tra ricchi e meno ricchi, e ha qualcosa – nelle premesse – di “House of Cards”: non c’è la politica, no, ma ci sono la finanza e l’arte, e quindi c’è il potere.

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    Julia Stiles, ex-Bourne girl, fa quello che può. E con lei, il resto del cast. Ci sono tanti bravi attori inglesi, come Iwan Rheon, che in “Game of Thrones” interpretava il cattivissimo Ramsay Bolton. Ma il talento, quello dell’inizio, quello che andrebbe sempre premiato (Totò docet), s’annacqua e si scialacqua, e praticamente sotto pagine e pagine di nulla, di scene che non portano a niente, esteticamente strane, fotografate come si fotografavano i vecchi drammoni televisivi, scompare.

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    Non si possono produrre sempre e solo serie di prim’ordine, certo. Bisogna anche alternare con cose più commerciali, più popolari, più semplici e più urlate. Bisogna pensare alla digestione dello spettatore.

     

    Ma “Riviera” non è nemmeno questo. Sbaglia in modo così eclatante e sincero, così palese e completo, che riesce a fare il giro completo: si trasforma in un magnete, che attira a sé spettatori e views (i critici no; i critici, specie in patria, ci sono andati giù duro con Jordan). È un tappo che resta a galla in pieno oceano, che resiste, che continua tronfiamente a guardare il cielo e a rimirare le stelle.

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    Il fatto, però, è che di tempo ce n’è sempre meno e le serie come questa, anche se parlano e raccontano d’altro, finiscono tutte per somigliarsi. E sì, va bene, intrattengono. E anche questo – prego, prenda posto, tenga aperto l’occhio, bene così, sì – è talento, e anche questo talento – fermo, fermo!, non si muova!, puh! – va premiato.

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