Gian Paolo Serino per Dagospia
anna wintour
E’ uscita da due giorni negli Stati Uniti e sta già spopolando “Anna” la biografia (semi)autorizzata su Anna Wintour, che da anni a capo di “Vogue” terrorizza stilisti e fashionist dettando le regole della Moda mondiale. A differenza delle precedenti questa autobiografia non è un’agiografia o al contrario un attacco alla “Winter”, come la chiamava uno dei suoi primi caporedattori quando la giornalista già dava segni di rigidità da “inverno”. Amy Odell, al lavoro su questo libro dal 2018, è scrittrice di razza, abbastanza folle da scrivere una biografia che ha il sound del rock e dall’altra parte un rigore professionale indiscutibile: oltre 250 intervistati, dopo un inatteso “A.W.O.K.” (che sta per "Anna Wintour ok", un timbro di approvazione sul lavoro dei collaboratori).
anna wintour la biografia di amy odell
A chi all’inizio la considerava pazza – “Anna Wintour ti distruggerà”- ha risposto con queste pagine che dimostrano come il coraggio e l’indipendenza siano merce rara.
Perché Amy Odell ha scritto una biografia che sembra uscita dalla penna di Thomas Pynchon o di un Hunther Thompson senza LSD: ne esce un libro destrutturato dove la vita e le opere della Wintour sono raccontati attraverso la voce di chi la conosce e chi la conosce diventa nello stesso istante protagonista di una biografia collettiva parallela. Da una parte “Dame Anna Wintour”, con quel suo aplomb inglese da ombrello appeso all’appendiabito di “Vogue America” e dall’altra chi la circonda, la venera, la detesta ma nessuno contesta.
la regina elisabetta anna wintour
L’Anna Wintour che emerge è una professionista capace di andare al di là delle apparenze di un mondo che troppi influencer fanno apparire vacuo.
La moda è una passione ed è un mestiere.
Troppi lo dimenticano, affascinati dalla instagrammatica della vita. Gli stessi che vorrebbero da questa lettura subito la superficie, gli scandaletti, qualcosa di cui parlare dopo qualche “charity” perché in Italia non c’è arte se non c’è party, non c’è arte se non c’è parte.
anna wintour 3
Allora accontentiamoli, così li eliminiamo subito. La Wintour che fa cadere il caffè per terra e subito un’assistente pulisce, la Wintour che mostra una lacrima invisibile dietro gli occhiali neri per la sconfitta di Hillary Clinton che ha sostenuto alle Presidenziali e al contempo la vittoria dell’ex amico Donald Trump. L’Anna Wintour che mostra simpatia e affascinazione per Bill Gates.
In questo “Anna” ci sono anche quegli atti che dimostrano il perché del fenomeno Wintour. Quando coraggiosamente tentò di ripulire a fine anni ’70 una rivista dello stesso editore di “Penthouse”, quando scandalizzò il suo caporedattore presentando un baule di pelle di capra da 9.000 dollari sulla rivista “New York”, dove divenne anche nota per gettare i suoi penny nella spazzatura.
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Andy Warhol la considerava una “terribile vestitrice”; spesso urtava le persone mentre girava gli angoli negli uffici di “Vogue” perché “essendo inglese, usava l'altra corsia”; “una volta chiese al suo reparto fotografico di ritoccare il grasso intorno al collo di un bambino”; il suo pranzo è un'insalata caprese senza pomodori (???), ha bandito l'erba cipollina dal menu della cena al “Met Gala”, ha messo Madonna sulla copertina di “Vogue” perché un tizio a caso che ha incontrato su un aereo ha detto che la rivista non l’avrebbe mai fatto.
anna wintour met gala 2021
Memorabili sono i nomi degli intervistati e qui subentrano personaggi che neanche Thomas Pynchon: Francine du Plessix Gray, Lisa Love, Rochelle Udell, Min Hogg, Carlyne Cerf de Dudzeele, Peggy Northrop e Elisabeth von Thurn und Taxis.
Sono questi alcuni dei protagonisti che sfilano tra le pagine: personaggi che dimostrano come sia piccolo il nostro impero delle Chiare Ferragni e dei fotografi che si credono star e al contempo – dall’alt(o) del lignaggio dei propri cognomi- gli intervistati fanno impallidire il Thomas Wolfe più “radical chic”.
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Tra queste pagine “Il Diavolo non veste Prada” ma il contrario: l’autrice Amy Odell (collaboratrice tra gli altri di “Time” e “The Economist’s”) impartisce una lezione di stile al mondo del giornalismo fashionista italiano: non si (in)china a Anna Wintour, non ne celebra il mito ma ne fa un personaggio da romanzo. Come in realtà è e come in realtà tutti dovremmo essere per non fermarci alla provincia dell’Impero Usa e Getta.
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