Cinecittà Babilonia: sesso coca e camicie nere
Silvio Danese per ''QN''
Ai tempi di "Piccolo mondo antico" (girato nell' agosto '40) il maturo Mario Soldati era così perduto nei profumati 18 anni di Alida Valli che si fece avvolgere in un tappeto della camera da letto per sorprenderla col suo assistente alla regia, un ricciuto, aitante Dino Risi.
doris duranti
Da tre anni Cinecittà lavorava a pieno ritmo in tutti i sensi: film di successo, dive dell' Olimpo autarchico, assoluta moralità di facciata, allegria e promiscuità nel sottosuolo. Si passava volentieri dal leggendario sofà dei produttori per accedere al mondo del cinema, ma si sussurrava appena, solo un cenno, che fosse meglio puntare ai divani dei ministeri e agli uffici del partito fascista. Malcostume mezzo gaudio, parafrasando, perché nei decenni seguenti le cose cambiarono poco.
alida valli
Mussolini per primo sapeva che la propaganda ufficiale non corrispondeva alla verità e faceva sorvegliare i suoi gerarchi. Solo lui potrebbe dire se era vero che Doris Duranti, la "divoratrice di uomini", la "diva del regime", fu sorpresa nuda a cavallo di una tigre imbalsamata mentre afferrava al volo diamanti gettati da osannanti vertici maschili littori, lei, la grande passione di Alessandro Pavolini, ministro del MinCulPop fedele fino alla fine, ma una spina nel fianco del duce per le orgette di Cinecittà (una notte, incitato dalla Duranti e altre signore in convegno, si spogliò completamente per mostrare «com' è fatto un ministro»).
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Piccanti suggestioni del documentario di Marco Spagnoli "Cinecittà Babilonia - Sesso, droga e camicie nere", prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, dai cui archivi provengono immagini e testimonianze, a 80 anni dalla fondazione degli Studios (lunedì 17 su Raiuno, alle 15,15 e dal prossimo mese in homevideo), racconto storico che attraversa il racconto più intimo e originale di grandi dive nel sogno hollywoodiano del fascismo.
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A volte non proprio come lo immaginava Mussolini, e dunque nel doc si fa anche un bel viaggio tra le notti di sesso e cocaina, fino alla risaputa, ma mai conciliata vicenda di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, ripercorsa in parallelo alle coppie Duranti/Pavolini e Goebbels/Baaròva, ma si visita anche il catalogo degli scandaletti di celluloide, a partire dalla famosa "disfida delle tette" tra Vittoria Carpi ("La corona di ferro"), Clara Calamai ("La cena delle beffe") e Doris Duranti ("Carmela"). Si fa ma non si dice funzionava a Cinecittà come a Hollywood sotto il codice Hays.
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Alle dive veniva in fondo riconosciuto un vero statuto di élite di sensualità e seduzione, esempi inarrivabili di femminilità e perfino accesso esibito ai vertici del potere («Alida Valli, la Calamai, Carla Del Poggio, Isa Miranda, Doris Duranti, e anche la Ferida, loro erano veramente dive come non ci sono più state» parola di re dei press agent, Enrico Lucherini).
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La condotta ufficiale, però, e i ruoli pur fatali, principesse longobarde, duchesse di Torniano, impiegate di papà e signore imperlate al telefono (bianco) erano controllati dal Ministero della Cultura, imposti attraverso la stampa, e dovevano piacere anche a Pio XI, che nell' enciclica del '36 fissò, in fondo, i suoi paletti, avendo già parlato un anno prima ai giornali internazionali sul ruolo morale e moralizzatore del cinema. Va detto che proprio il 29 gennaio del '36 Mussolini aveva posto la prima pietra degli stabilimenti della Tuscolana, inaugurati nella fulgida primavera del '37 (28 aprile, 18 minuti in auto dal centro e 35 con il Tram delle Stelle). Il lancio di Cinecittà decise il lancio del divismo nazional fascista e la sostituzione delle nostre alle star americane, con qualche benefica contraddizione.
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Al piano superiore di Villa Torlonia Mussolini lavorava con i suoi per evitare e poi preparare la guerra, al piano di sotto suo figlio Vittorio, sveglio, sensibile appassionato di cinema americano, dirigeva "Cinema" invitando i futuri registi del neorealismo, Lizzani (19enne) & Co. Contraddizione a metà, perché in fondo suo padre i film, giù a vederli, ci andava per conto suo, e pensando a una ideale fusione col cinema americano (impazziva per Stanlio e Ollio e per i musical) diceva: «Vorrei che venisse Frank Capra a fare un film allegro sul diritto di lamentarsi contro di me». Non lo invitò mai.
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