Angelo Panebianco per il “Corriere della Sera”
conte di maio
Forse la lettera a Il Foglio con cui, alcuni giorni fa, Luigi Di Maio ci metteva al corrente della sua svolta garantista è il frutto di una autentica conversione. Oppure di un astuto calcolo: magari non ci saranno veti sul suo nome quando, tra qualche mese o anno, si apriranno le consultazioni per la formazione del futuro governo. O forse è il frutto di entrambe le cose. Ma non è importante. Quella svolta merita comunque apprezzamento.
LA LETTERA DI LUIGI DI MAIO AL FOGLIO
È essenziale però non sopravvalutarne le possibili conseguenze. In un Paese senza memoria storica si fa presto a scambiare gli effetti per le cause: si fa presto, ad esempio, a credere che siano stati i 5 Stelle a imporre all' Italia la loro visione forcaiola della vita pubblica.
Talché, se Di Maio riesce a convertirli alla civiltà (giuridica in questo caso), il gioco è fatto, i problemi sono risolti. Ma no. Per niente. I 5 Stelle non sono una causa, sono un effetto. È perché in ampi settori dell' opinione pubblica era radicata quella visione forcaiola che i 5 Stelle hanno avuto successo, sono diventati addirittura il primo partito alle ultime elezioni. Ignora la storia e scambierai le lucciole per lanterne, le cause per gli effetti.
Enzo Tortora-in-manette
Qualcuno si ricorda ancora del caso di Enzo Tortora? All' epoca l' espressione circo mediatico-giudiziario non era ancora stata inventata. Tortora venne arrestato nel giugno del 1983 per (niente meno) associazione camorristica e spaccio di droga.
Si scatenò contro di lui, rinchiuso in una cella, una sarabanda mediatica selvaggia, violenta, durata mesi e mesi. Poiché coloro che si occupavano del caso alla Procura di Napoli avevano deciso che Tortora fosse un capo della camorra, l' intero Paese, per un bel po', accettò di credere, a scatola chiusa, a quella bufala.
il pool di mani pulite
Cosa accadde ai responsabili, giudiziari e non, di quella vicenda? Le loro carriere vennero stroncate? Furono per lo meno danneggiate? No, non pagarono dazio. Non subirono alcuna sanzione. Il caso Tortora dimostrò a tutti che in questo Paese è possibile sequestrare un innocente, tentare di distruggerlo, presentarlo come un mostro sui mezzi di comunicazione, senza che ciò comporti il benché minimo danno per la carriera dei responsabili e dei loro sodali.
GHERARDO COLOMBO - ANTONIO DI PIETRO - PIERCAMILLO DAVIGO
La verità è che, come il caso Tortora dimostrò, il principio (di civiltà) della presunzione di non colpevolezza non è mai stato davvero accettato in questo Paese.
Poi arrivò Mani Pulite. Colpì la diffusa corruzione. Essa doveva essere colpita. Ma i modi in cui ciò avvenne non furono tutti irreprensibili. Pochi oggi negano che ci furono degli eccessi: altro che rispetto della presunzione di non colpevolezza. Si verificò, inoltre, un rovesciamento dei rapporti di forza fra magistratura e politica i cui effetti perdurano tutt' ora.
piercamillo davigo al tg2 2
Posso assicurare per esperienza che a quell' epoca criticare certi aspetti della «rivoluzione giudiziaria» allora in atto significava diventare il bersaglio degli insulti di quello che allora era chiamato «popolo dei fax», coloro che inneggiavano alle manette, che volevano il sangue. Per inciso, sarebbe interessante se qualche psicologo studiasse gli effetti che produsse sui bambini e gli adolescenti di allora sentir dire da tutte le televisioni dell' epoca che l' Italia è un «Paese di ladri».
ANGELO PANEBIANCO
È cambiato qualcosa? È stato ripristinato, nella coscienza dei più, il principio della presunzione di non colpevolezza? Si è posto fine alle gogne mediatiche? No, non è mai cambiato niente.
Le cause sono diverse.
C' è certamente la circostanza che la politica ha alimentato queste tendenze: i politici sono garantisti quando oggetto di provvedimenti giudiziari sono loro o i loro amici, sono forcaioli quando vengono colpiti i loro avversari. Ciò è il frutto di un atteggiamento strumentale e opportunistico (di tanti italiani, non dei soli politici) nei confronti delle leggi. Vale ancora, anzi vale più che mai, quanto disse circa cento anni fa Giovanni Giolitti: «In Italia, le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici».
toghe
Vale anche il fatto che, causa dell' unità delle carriere dei magistrati, molti italiani non riescono a distinguere fra un giudice e un procuratore. E se un procuratore è chiamato giudice, questo non è un errore innocente. Ne deriva infatti che i suoi provvedimenti verranno scambiati per sentenze: l' indagato diventa così un colpevole il cui reato è stato provato. Il processo diventa superfluo, anzi un fastidioso onere per i contribuenti.
MAGISTRATI
Al fondo naturalmente giocano le nostre tradizioni illiberali. Intendiamoci: anche nei Paesi anglosassoni, nei quali i principi liberali sono più saldi e che per questo alcuni di noi ammirano, ci sono nella pubblica opinione tendenze forcaiole. Ma, per lo più, in quei Paesi sono garantiste le élite, è garantista la classe dirigente. Essa è pertanto in grado di fare muro, di impedire alle pulsioni illiberali di una parte del pubblico di fare gravi danni.
In Italia, invece, ci sono segmenti delle élite (per esempio, intellettuali) che condividono il credo forcaiolo di una parte dell' opinione pubblica. Per questo in Italia non ci sono vere barriere. Si noti che tutto ciò non dipende dalla divisione fra guelfi e ghibellini, fra la destra e la sinistra. Si pensi a un grande vecchio, un protagonista della storia comunista, scomparso di recente: Emanuele Macaluso. Combinava una visione togliattiana della politica e una concezione liberale della giustizia.
Emanuele Macaluso
Non credo che Di Maio riuscirà davvero a convertire molti fra i 5Stelle. Dovrebbero rinunciare alla vera «ragione sociale» del loro movimento politico. Dovrebbero rinunciare anche all' alleanza di fatto che hanno stabilito con il settore più politicizzato e militante della magistratura.
In ogni caso, si ricordi che le ragioni che spiegano la prevalenza in questo Paese di atteggiamenti illiberali in materia di giustizia sono profonde, vengono da lontano. La pur meritoria dichiarazione di un politico non basta a cambiare le cose. Non può sostituire una lunga e faticosa opera di rieducazione del pubblico. Che dovrebbe cominciare a scuola. Basta metterla così per capire quanto possa essere ardua l' impresa.