1 - SE IL PREZZO DELLA RETE DIVENTA TROPPO ALTO
Marcello Zacché per “il Giornale”
Lo scandalo dei dati di Facebook - 87 milioni di profili utilizzati da Cambridge Analytica per influenzare le elezioni Usa del 2016 - ha avuto il pregio di fare emergere un problema dimenticato. O sottovalutato. Prima osservazione: nell' era di internet, la maggior parte dei suoi 4 miliardi di navigatori considera il web un luogo dove attingere a servizi gratuiti. Ma non è così. Il costo esiste e siamo noi, i nostri dati. Si chiama profilazione ed è quello che fanno gli over the top mentre noi navighiamo: ci fanno «il profilo» e lo mettono da parte. Certo, non sanno il nostro nome, ma poco importa. Per raggiungerci basta il nostro indirizzo web.
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Seconda osservazione: la rete è nata per aprire gli orizzonti, per rendere una ricerca effettuata da qualunque punto del pianeta, universale. E molti pensano che facendo una ricerca su Google tutti ottengano gli stessi risultati, in base alla rilevanza.
Ma dal 4 dicembre del 2009 Google (nella foto il fondatore Larry Page) ha cambiato le sue regole e ha introdotto la filter bubble, un filtro in base al quale ognuno vede i risultati ritenuti più adatti. La combinazione di queste due caratteristiche operative dei big della rete si presta a molteplici implicazioni. Ne ha scritto bene Michele Ainis ne «Il regno dell' Uroboro», un saggio che fa luce sul fatto che, per esempio, un motore di ricerca è oggi in grado di rispondere alle domande ancora prima che l' utente le abbia formulate. Con tutte le conseguenze, anche filosofiche, che questo può avere.
BIGDATA
Per questo MiaEconomia si dedica questa settimana alle possibili alternative. A quelle app, che già esistono, che garantiscono la riservatezza dei dati. Magari non gratuitamente: alcuni motori di ricerca, email o social network chiedono un obolo, un abbonamento. Ma il punto è che, forse, è arrivato il momento di chiedersi se ne può valere la pena. Di questo modo diverso di navigare nel web potremmo sentir parlare sempre più spesso in futuro.
2 - UN «TESORO» DA 170 MILIARDI REGALATO AI COLOSSI DI INTERNET
Camilla Conti per “il Giornale”
«I dati personali sono usati come armi contro di noi con efficienza militare», una vera e propria «sorveglianza» che finisce «solo per arricchire le società che li raccolgono». Così parlò il 24 ottobre del 2018 Tim Cook, ad della Apple strappando applausi alla difficile platea della conferenza organizzata dall' Ue sulla privacy. Un duro atto d' accusa soprattutto contro Facebook, travolta dallo scandalo di Cambridge Analytica, e Google, pur senza menzionarli mai.
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E un appello a dare un giro di vite sulla privacy anche negli Usa come quello varato a maggio dell' anno scorso dalla Ue con il Gdpr, il regolamento generale sulla protezione dei dati (in inglese General Data Protection Regulation). Ma cosa è la profilazione? Quanto vale? L' articolo 4 del nuovo regolamento europeo la definisce come «qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell' utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica».
I data broker ne hanno fatto un business: raccolgono informazioni online sui consumatori da fonti pubbliche, le aggregano, le interpretano e le analizzano per poi vendere quei dati (o punteggi analitici o classificazioni fatte sui dati) ad altri data broker o aziende, costituendo parte integrante dell' economia dei cosiddetti Big Data Analytics. I ricavi globali di questo specifico mercato, ha spiegato il centro ricerche Idc, sono stimati quest' anno a 189,1 miliardi di dollari (170 miliardi di euro), in aumento del 12% sull' anno precedente.
Il tasso di incremento medio annuo fino al 2022 dovrebbe attestarsi al 13,2% per raggiungere i 274,3 miliardi (247,5 miliardi di euro) a fine periodo. Secondo i dati dell' Osservatorio sulla Digital Innovation, nel 2018 il mercato italiano della raccolta a analisi dei dati ha sfiorati gli 1,4 miliardi di euro, in crescita del 26% rispetto all' anno precedente.
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Il 45% della spesa delle aziende in Analytics è dedicata ai software (database e strumenti per acquisire, elaborare, visualizzare e analizzare i dati, applicativi per specifici processi aziendali), il 34% ai servizi (personalizzazione dei software, integrazione con i sistemi informativi aziendali, consulenza di riprogettazione dei processi) e il 21% alle risorse infrastrutturali (capacità di calcolo, server e storage da impiegare nella creazione di servizi di Analytics).
Un vero tesoro cercato da imprese e gruppi di pressione non solo politici nelle miniere di dati offerte dagli stessi consumatori cliccando su Amazon, Google, Facebook, Microsoft, Alibaba, Tencent e altre centinaia di siti online. Senza dimenticare le app per il meteo, il Gps dell' auto che raccoglie abitudini, stili di guida, posizioni. Il che li rende la commodity del XXI secolo.
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Qualche anno fa, però, un giovane ingegnere di Torino, Federico Zannier, ha fatto un esperimento e ha deciso di «mettersi in vendita» per 2 dollari al giorno sul sito Kickstarter. Il pacchetto dati includeva: un elenco di pagine web visitate, le immagini del suo monitor ad intervalli regolari, le ricerche effettuate. Nella sua stima avrebbe fruttato non più di 500 dollari, ma la raccolta in realtà è stata di 2.733 dollari. La guardia deve essere alzata: secondo un rapporto realizzato da Teads , solo il 2% degli italiani, e in media il 5% degli europei, rifiuta i cookies e la conseguente raccolta di dati personali per ricevere pubblicità quando si trova su un sito di informazione.