Luca Fazzo e Cristina Bassi per ''il Giornale''
E adesso anche l' avvocato dei Fadil si tira indietro. A ventidue giorni dalla morte della supertestimone del caso Ruby, a teorizzare la morte per avvelenamento - più o meno radioattivo - sono rimasti praticamente da soli i familiari della ragazza, che però ora dovranno trovarsi un altro avocato, perché Paolo Sevesi, il legale che difendeva Imane nei processi per le cene di Arcore, spiega ieri che «non è il momento per fare la caccia alle streghe e non ce ne sono neanche i presupposti». D' altronde, aggiunge, «non ci sono moventi possibili» per pensare che la povera Imane sia stata ammazzata.
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Ieri Sevesi si reca in Procura per annunciare la sua decisione a Tiziana Siciliano, il procuratore aggiunto che coordina le indagini. Uscendo spiega la svolta parlando di linee inconciliabili: da una parte la sua, che dubita fortemente di una morte per avvelenamento; dall' altra quella che l' avvocato indica sinteticamente come «la linea del Fatto», ovvero la tesi di un possibile omicidio.
Pista che un cognato di Imane aveva indicato esplicitamente in un' intervista al quotidiano diretto da Marco Travaglio, e che il giornale aveva in parte fatto propria. Su questa linea, spiega Sevesi, insistono ancora i fratelli e la madre di Imane, nonché l' uomo che viveva con lei, e che si era costituito anch' egli come parte offesa.
A un delitto, l' avvocato Sevesi dice di non aver creduto neanche prima che i «carotaggi» sul corpo della modella escludessero la presenza di campi radioattivi. Non c' erano moventi per ucciderla, dice il legale: e lei stessa non aveva preoccupazioni di sorta. «Se avesse avuto dei timori me li avrebbe sicuramente manifestati - aggiunge Sevesi - perché mi diceva sempre tutto, mi chiamava anche se sull' autobus qualcuno la guardava in un modo strano».
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Imane stava male, questo sì: e lo disse al suo avvocato prima ancora dell' udienza in cui venne respinta la sua costituzione di parte civile contro Silvio Berlusconi. «L' 11 gennaio Imane mi scrisse sulla nostra chat dicendo di non stare bene. Il 14 ci vedemmo in tribunale per l' udienza e mi raccontò che non aveva dormito e aveva sudato tantissimo». Quindici giorni dopo, la modella marocchina venne ricoverata nell' ospedale da cui non sarebbe più uscita.
Se la pista dell' avvelenamento sta progressivamente svanendo, resta la necessità di capire cosa abbia stroncato così rapidamente una giovane donna che fino all' inizio dell' anno appariva nel pieno delle sue forze. L' autopsia che doveva essere effettuata oggi è slittata all' inizio della prossima settimana, in attesa della controprova sull' assenza di radioattività nei resti affidata all' Enea. Certo, rimane da chiedersi come mai la procedura decisa nei giorni scorsi - test radioattivo precauzionale, poi esame medico legale classico - non sia stata messa in atto già a partire dall' 1 marzo, subito dopo la morte di Imane, comunicata in diretta dall' ospedale alla Procura.
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La sensazione è che in tutta questa vicenda vi sia un «non detto» che prima o poi andrà chiarito, e che magari spiegherà come l' ipotesi di un assassinio a raggi X sia stata portata alla ribalta planetaria e poi affossata.
Di certo c' è quando il caso è divenuto di dominio pubblico, su iniziativa del procuratore Francesco Greco, l' ospedale e i magistrati si sono scontrati frontalmente: Greco parlava apertamente di «anomalie» della cartella clinica, l' ospedale accusava la Procura di avere saputo che Imane diceva di essere stata avvelenata e di non essersi mossa per interrogarla.
Poi, con il primo interrogatorio formale del direttore generale dell' Humanitas, pm e ospedale hanno raggiunto una linea comune, e i dissensi sono stati messi da parte. Le conseguenze si sono viste: le fonti della Procura che fino a poco prima parlavano di morte da «colpa medica» adesso parlano di «morte per cause naturali», che non è esattamente la stessa cosa.
In questo pasticcio clinico-mediatico-giudiziario prima o poi un bandolo andrà trovato.