1. GALLI DELLA LOGGIA: ''I POLITICI FACCIANO IL LORO LAVORO E NON PARLINO DI MUSSOLINI''. MA QUANDO GLI STORICI FANNO I POLITICI, COME QUANDO LUI FU TROMBATO NEL 1992, POSSONO PARLARE DI STORIA?
DAGONOTA
ernesto galli della loggia
Allo storico Ernesto Galli della Loggia, intervistato nell'ultimo numero di ''Famiglia Cristiana'', viene chiesto cosa pensa dei politici che dicono ''Mussolini ha fatto anche cose buone''. Senza pensarci due volte, decreta: ''I politici dovrebbero cercare di fare bene il loro mestiere anziché occuparsi di cose di cui sanno poco o nulla''.
Caspita! Quindi Antonio Tajani, presidente dell'Europarlamento con 25 anni di esperienza politica, non può avere un'opinione piuttosto blanda sul Ventennio (sì, ha detto cose che pensano in molti, anche molti storici, nonostante gli inevitabili strepiti di chi crede che il fascismo sia sempre in agguato e il solo nominare Mussolini sia in grado risvegliare il balilla che dorme in noi).
Mario Segni
Seguendo questo ragionamento, se uno volesse essere puntiglioso e settario come il buon Galli, dovrebbe ricordargli di quando nel 1992 si candidò con Massimo Severo Giannini nella disastrosa lista ''Sì Referendum'', che riunì i mejo intellettuali dell'epoca convinti che grazie al nuovo sistema delle preferenze avrebbero raccolto voti a palate, sull'onda del furore referendario cavalcato soprattutto da Mariotto Segni.
Invece la lista prese lo 0,8% e non elesse un singolo parlamentare, pur avendo uno slogan acchiappante, che oggi definiremmo grillino: ''I partiti non possono cambiare nulla. I referendum sì. Vota Sì Referendum. Le persone al posto dei partiti."
Attenzione, non populista, ma ''plebiscitario'', come oggi Galli descrive con certa superiorità ''chi vorrebbe tutti i giorni un referendum a colpi di clic al computer, dell'uno vale uno, del salto dei corpi intermedi'', sempre nell'intervista a ''Famiglia Cristiana''.
Insomma, i politici possono fare solo i politici ma senza esprimere opinioni, gli storici possono fare quello che gli pare. Tipo votare la Raggi e poi pentirsene quasi subito, per poi passare a difendere Salvini nel caso Diciotti. Ma se uno storico si mette a fare il politico, poi di che può parlare?
massimo severo giannini
2. GLI STORICI SI SPACCANO SUL CASO TAJANI
Alessandro Gnocchi per ''il Giornale''
Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo e vicepresidente di Forza Italia, nei giorni passati ha rilasciato una dichiarazione su Mussolini nel corso della trasmissione La Zanzara di Giuseppe Cruciani, su Radio24. Ecco le parole esatte: «Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s' è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese, poi le bonifiche».
Tajani, per aver detto una ovvietà, è stato attaccato da ogni parte e, infine, si è scusato. Il 20 marzo è scesa in campo la Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Sissco) con un comunicato tanto prudente (Tajani non è mai nominato) quanto duro nella sostanza: «Ciò che è emerso dalle sue parole (del presidente del Parlamento europeo, ndr) è il tentativo di avvalorare una lettura del tutto parziale del fascismo, volta a evidenziarne alcuni specifici aspetti come per sottrarlo a una più complessiva comprensione del fenomeno storico e alle, successive, valutazioni di ordine politico e civile». La Sissco lamenta inoltre la politica culturale che ha indebolito «la rilevanza della coscienza storica nella scuola e nella società», favorendo «questa pericolosa deriva».
Giuseppe Conte a Strasburgo e Tajani
Il comunicato ha finito per dividere la Sissco. Marco Gervasoni, in passato membro del direttivo, ha lasciato la Società. Professore di Storia contemporanea all' università del Molise e di Storia comparata dei sistemi politici alla Luiss di Roma, Gervasoni spiega al Giornale: «Sono uscito perché ultimamente mi sembra prevalere l' aspetto politico, giustamente tenuto in secondo piano nel passato per evitare spaccature. La Sissco ha fatto anche cose eccellenti, come prendere posizione contro la legge Fiano». Cosa c' è che non va nel comunicato, dunque? Secondo Gervasoni «ci sono tre punti estremamente controversi. Il primo. Di storia possono parlare solo gli storici e in particolare solo quelli appiattiti sull' antifascismo ma non sull' anticomunismo.
Il secondo. A parte che Tajani ha detto il vero, nessuno prima di lui ha avuto l' onore di un comunicato che lo sconfessasse. Penso, ad esempio, ai negazionisti delle Foibe. Terzo. Il passaggio sulla eliminazione della storia appare strumentale se non si aggiunge chi l' ha voluta: il ministro Valeria Fedeli e non l' attuale governo».
ANTONIO TAJANI
A osservare la vicenda dall' esterno viene il dubbio che diventi sempre più difficile giudicare liberamente il fascismo dal punto di vista storico. «Rispetto ai tempi della Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, era il 1975, certamente è così. Un tempo si distingueva nettamente tra fascismo e nazismo. Oggi assistiamo alla nazistificazione del fascismo. Significa che il fascismo si incammina a incarnare il Male assoluto. Ma sarebbe meglio tornare a distinguere».
3. 100 ANNI FA BENITO COMINCIÒ A ESSERE IL DUCE
Francesco Perfetti per ''il Giornale''
Non si sa neppure, in realtà, quanti e chi fossero stati i «sansepolcristi» cioè coloro che presero parte alla riunione dalla quale in quella domenica, primaverile ma piovosa, del 23 marzo 1919 prese vita il movimento fascista. La cifra più alta, a parte quanto si legge in alcuni rapporti di polizia che parlano di 300 persone, è quella indicata da Margherita Sarfatti nella biografia apologetica Dux pubblicata nel 1926. La storica amante e collaboratrice di Mussolini parla di una «modesta adunata» di 155 persone «riunite in una mediocre sala presa in affitto da un' associazione di piccoli commercianti, in un palazzo fuori mano della vecchia Milano, nella malinconica piazza del Santo Sepolcro: simbolico nome di catacomba».
otto scorzeny e mussolini
Dal canto suo Giorgio Alberto Chiurco in una minuziosa e cronachistica Storia della rivoluzione fascista elenca 119 nominativi. La cifra più bassa è, paradossalmente, di Mussolini che parla di sole 54 persone riferendosi, però, a coloro che «presero solenne impegno ad essere fedeli ai principi fondamentali del movimento».
Quale che sia il numero esatto dei partecipanti rimane il fatto che Mussolini dovette scegliere quella sala come ripiego. Nelle sue intenzioni, infatti, la convocazione di interventisti e combattenti lanciata dal Popolo d' Italia già da metà marzo, avrebbe dovuto avere luogo presso il teatro Dal Verme, uno dei maggiori di Milano con una capienza di circa duemila persone.
mussolini
All' ultimo momento, però, visto il numero esiguo delle adesioni e lo scarso interesse per l' avvenimento da parte di personalità di rilievo, Mussolini si mise alla ricerca di un locale più idoneo alle dimensioni dell' assemblea. Lo trovò grazie a Cesare Goldmann, presidente del Circolo degli Interessi Industriali e Commerciali, un entusiasta interventista triestino di idee democratico-radicali, che mise a disposizione una sala.
Fu così che un originale ed eterogeneo manipolo di individui che rivendicavano l' eredità dell' esperienza bellica, contestavano il sistema istituzionale e demonizzavano le scelte economico-sociali del dopoguerra si ritrovò in una sala non troppo grande, stipata, rumorosa, calda di fiati per discutere del futuro del Paese e dare vita a un nuovo movimento politico. L' avvenimento dovette apparire insolito e strano ai soci e frequentatori del circolo ospitante tant' è che, a quanto si racconta, molti di essi si affacciarono incuriositi, spesso per pochi minuti, sulla porta della stanza. Accadde anche che un negoziante di calzature, fermatosi sulla soglia ad ascoltare l' intervento di Mussolini, venisse scambiato per un personaggio illustre, il senatore Luigi Mangiagalli, il cui nome venne inserito tra i sansepolcristi.
Cosa che, in seguito, salito il fascismo al potere, il celebre clinico, ormai fascista, si guardò bene dallo smentire.
mussolini
Presiedette la riunione un personaggio singolare, il capitano degli Arditi, Ferruccio Vecchi, un combattente pluridecorato, futurista e compagno inseparabile di Filippo Tommaso Marinetti. Di lui si raccontavano cose incredibili. Per il fisico asciutto e snello, il volto triangolare e scavato con baffetti e pizzetto, assomigliava a uno dei moschettieri creati dalla fervida penna di Alexandre Dumas.
Quel giorno, di sera, mentre gli altri congressisti se ne erano andati, si attardò nella saletta e, insieme con alcuni amici arditi, estratto un pugnale e conficcatolo su un gagliardetto, pronunciò un giuramento solenne: «Siamo pronti a difender l' Italia! Siamo pronti a uccidere e morire!». A loro si unì un altro congressista, il cremonese Roberto Farinacci, che, con fare ammiccante, mostrò agli amici, sollevando il calzone della gamba sinistra, una rivoltella infilata nella giarrettiera.
Il più illustre dei partecipanti all' adunata fu il fondatore del futurismo, Marinetti, il quale prese la parola dopo che Mussolini ebbe presentato, fra applausi vibranti, tre dichiarazioni, di sostegno alle richieste morali e materiali dei combattenti, di supporto alle rivendicazioni territoriali italiane, di impegno a sabotare le candidature politiche dei neutralisti. Anche un altro esponente dell' arditismo, Mario Carli, che in seguito avrebbe fondato e diretto il quotidiano L' impero, intervenne nella seduta antimeridiana portando l' adesione di personalità del mondo della cultura che non erano potute intervenire, dal giornalista e scrittore ebreo goriziano Enrico Rocca al pittore fiorentino Ottone Rosai.
mussolini
Proprio arditi e futuristi, ex combattenti o interventisti, furono il nucleo dei sansepolcristi, ma non mancarono repubblicani, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. Renzo De Felice ha suddiviso l' eterogeneo mondo dei sansepolcristi in due categorie: la «vecchia guardia» interventista rivoluzionaria che già nel 1914-15 aveva dato vita ai Fasci d' azione rivoluzionaria e una seconda componente, fatta di «trinceristi» e di ex combattenti, fra i quali rientravano, per l' appunto, arditi e futuristi.
Un' assenza eclatante alla riunione del 23 marzo fu quella di un nome mitico del rivoluzionarismo italiano, Alceste De Ambris che avrebbe, però, contribuito a stilare il programma dei fasci di combattimento pubblicato qualche mese dopo sul quotidiano Il Popolo d' Italia e che sarebbe poi diventato antifascista.
mussolini in visita ai reparti di salo
Peraltro, le linee fondamentali del programma dei costituendi Fasci di combattimento le enunciò lo stesso Mussolini nel suo secondo intervento nella seduta pomeridiana: scelta repubblicana, abolizione del Senato, suffragio universale esteso alle donne, rappresentanza diretta degli interessi. Nello stesso intervento egli si dichiarò avverso ad ogni tipo di regime dittatoriale: «Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quelle della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo solo la dittatura della volontà e dell' intelligenza». Le cose, com' è noto, andarono diversamente a riprova del fatto che il fascismo delle origini fu diverso da quello poi realizzato.
Ha scritto Cesare Rossi, all' epoca uno dei più fidati collaboratori di Mussolini in seguito coinvolto nello scandalo seguito al delitto Matteotti, che la riunione del 23 marzo 1919 fu «trascurabile dal punto di vista numerico e qualitativo» e che «un terzo almeno dei suoi aderenti in seguito passò all' antifascismo».
In effetti, come avrebbe dimostrato la ricerca storica a cominciare da Renzo De Felice, la riunione di piazza San Sepolcro più che la nascita di un partito fu l' occasione, nel clima torbido dell' immediato dopoguerra, per l' incontro di persone eterogenee che si ritrovarono attorno a un programma genericamente orientato a sinistra che esprimeva le istanze di tutto il rivoluzionarismo non inquadrato nelle file del partito socialista. Non è un caso che la stampa, con la sola eccezione del quotidiano mussoliniano, facesse passare sotto silenzio l' avvenimento.
MUSSOLINI
Lì, nella piccola sala del palazzo milanese, non venne, insomma, fondato un partito vero e proprio, ma venne, piuttosto, lanciato un movimento che solo due anni più tardi avrebbe assunto le caratteristiche di una struttura partitica. Eppure, non a torto, la data del 23 marzo 1919 avrebbe assunto un valore simbolico nella auto-rappresentazione «mitologica» del fascismo.
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