Carlo Marroni per “il Sole 24 Ore”
Alessandro Profumo
La ricostruzione, ad un certo momento, si fissa su un particolare: «Una volta gli emissari di Fincantieri uscirono dalla stanza, e incrociarono quelli di Leonardo che entravano». È il racconto di un alto dirigente straniero del settore difesa, che a distanza di tempo è ancora un po' stupito che le due maggiori imprese italiane del settore, entrambe controllate dallo Stato, si muovessero per conto proprio. Ma qualche volta hanno agito coordinate, con risultati ottimi. Vanno forte anche da sole, certo, ma ai piani superiori - il Governo, che detiene i pacchetti azionari di controllo - si torna a ragionare anche su una prospettiva diversa.
Il dossier
PIERROBERTO FOLGIERO
Primavera-estate 2022, si torna a parlare di fusione tra Leonardo, la ex Finmeccanica, e Fincantieri: un dossier che circola da tempo ma che è sempre rimasto tale, per opposizione dei management, scarso appeal finanziario, debolezza di ogni ipotetico business plan in caso di unione forzata di due realtà con business anche molto diversificati.
Ma le cose cambiano, a partire dallo scenario globale. È in corso una guerra nel cuore dell'Europa, i paesi Nato inviano a valanga armi all'Ucraina, le spese militari sono destinate a salire vertiginosamente (il 2% del Pil è diventato quasi un parametro di Maastricht, ormai).
CORVETTA FCX 30 - FINCANTIERI
Mario Draghi è stato chiaro: «Spendiamo molto ma senza coordinamento, e in Europa importiamo il 60% (dagli Usa). Serve cambiare rotta». La linea generale è questa, che a valle si declina anche con accordi stretti tra operatori del settore, quindi soprattutto Francia e Germania.
Quindi, il sottotesto del tutto è che serve un campione nazionale di dimensioni forti e contenuti avanzati per dialogare alla pari.
Questo è il quadro, e infatti gli input per una fusione (usiamo questa parola, ma vedremo che può assumere significati diversi dal merger "secco" tradizionale della finanza, come per le banche per esempio) arrivano dalla politica.
oto melara
Sono società quotate in Borsa, e quindi la cautela è massima ma - a quanto risulta al Sole 24 Ore - dentro le stanze del governo l'ipotesi è oggetto di riflessione, in particolare nei dicasteri della Difesa, dello Sviluppo Economico e al Mef, nell'ottica proprio dei maggiori investimenti nel settore difesa e di integrazione transnazionale, in una logica di collaborazione-competizione.
pierroberto folgiero
Insomma, all'estero si stanno muovendo, qualcosa va fatto anche da noi. La domanda a questo punto è: cosa fare? Partiamo da un elemento, confermato pure da ambienti militari, che poi sono i committenti principali: «Quando le due aziende si muovono insieme sono vincenti», e il pensiero vola alla Fremm, la fregata venduta a mezzo mondo, compresa la Marina degli Stati Uniti.
Le criticità
Il dossier è complesso, perché, anche se si resta nell'ambito del militare, sono due realtà molto diverse: una produce la piattaforma navale, gli scafi - ma anche in un'ottica avanzata di integrazione - l'altra la (vasta) parte elettronica da combattimento.
Fincantieri fattura 6,9 miliardi e concentra il 75% circa del giro d'affari sulle navi da crociera, mentre la parte militare è circa il 20%: portaerei, cacciatorpediniere, corvette, sottomarini, pattugliatori e soprattutto le fregate.
oto melara
Per tornare alla Fremm - scaturita anche da una collaborazione italo-francese - è il frutto di una joint venture con Leonardo, la Orizzonte Sistemi Navali (51% Fincantieri, 49% Leonardo), che opera come integratore di sistema a livello Whole Warship lungo tutto il ciclo di vita della nave.
Per Leonardo, che fattura 14,1 miliardi, la situazione è al rovescio, visto che la gran parte del business è nel campo militare - elicotteri, naturalmente anche civili, velivoli, elettronica, sistemi difesa - compresa la scommessa decisiva per il futuro della cybersecurity.
giancarlo giorgetti a monfalcone con i nuovi vertici fincantieri
I sistemi sviluppati da Leonardo nel Combat Management System rappresentano oltre il 40% dei componenti di una nave e oggi sono a bordo di oltre mille unità in tutto il mondo. Per la società i sistemi d'arma navale, secondo fonti di mercato, rappresentano un fatturato del 2-3% sul complessivo, ma certamente con grosse prospettive di crescita in questa fase storica.
Nel frattempo Leonardo si muove, e a gennaio ha acquistato per 606 milioni il 25,1% di Hensoldt, società tedesca leader nei sensori per la difesa e sicurezza, con un grosso portafoglio ordini.
FINCANTIERI
Insomma procede la concentrazione nel core business - un altro tassello è l'operazione annunciata ieri per Drs-Rada - e in quest' ottica è anche la messa in vendita, anche se per ora non è definita, di Oto Melara-Wass, verso cui hanno espresso interesse sia il consorzio franco-tedesco Knds sia la stessa Fincantieri e successivamente la tedesca Rheinmetall ha fatto un'offerta non vincolante per l'acquisto del 49% di Oto Melara, nel progetto di una collaborazione industriale, con l'obiettivo di partecipare ai programmi dei nuovi carri armati (il nuovo carro leggero per l'Esercito Aifv e Mgcs).
MACRON - DRAGHI - SCHOLZ A KIEV
Quindi un quadro in movimento nell'asse Italia-Germania-Francia (chissà se Macron, Draghi e Scholz ne hanno parlato nella nottata sul treno per Kiev), ma certamente nella strategia del governo c'è la creazione in un Polo Nazionale per la Difesa, al momento un'idea.
«È ingenuo pensare che un polo militare italiano possa essere competitivo da solo, però quando andiamo a discutere di industria della difesa europea dobbiamo presentarci al meglio delle possibilità per giocare le nostre carte. Abbiamo eccellenza, qualità, competenza, dobbiamo assolutamente farlo, è l'indirizzo dato dal Governo, anche perché è evidente che la domanda di difesa in Europa sarà particolarmente cospicua e accelerata nei prossimi anni» ha detto poche settimane fa il ministro Giancarlo Giorgetti.
GIANCARLO GIORGETTI AL FESTIVAL DELL ECONOMIA DI TRENTO
Il collega della Difesa, Lorenzo Guerini, è per ora rimasto più sul generale: «Il percorso di una Difesa europea deve migliorare la performance a livello comunitario per metterci in condizione di competere con player globali, ma senza rinunciare alla nostra dimensione strategica nazionale. L'Italia vuole essere protagonista di un salto tecnologico, ma ogni scelta sarà subordinata a questo principio».
Le variabili manageriali
E qui entrano in campo le variabili manageriali delle due aziende, decisive per il successo di una eventuale fusione. L'opposizione della precedente guida di Fincantieri, l'ad Giuseppe Bono, che è stato per venti anni capo indiscusso e di grande successo, ora vede una posizione certamente più dialogante del nuovo ceo, Pierroberto Folgiero, riguardo ad un polo nazionale: «I temi societari sono appannaggio dell'azionista, che sta sviluppando una visione industriale e di lungo periodo.
FINCANTIERI - LA FREGATA PER US NAVY
A me interessa moltissimo la creazione di valore, perché se c'è questa, poi c'è anche l'operazione. Noi siamo concentrati sugli aspetti iniziali, sullo studio delle sinergie, dei vantaggi a lungo termine, commerciali, produttivi, occupazionali» ha detto di recente.
Certo, la società - che pure è stata il pivot della ricostruzione del Ponte Morandi assieme a l colosso delle costruzioni Webuild - ha un suo reticolo internazionale, a partire dalla dall'accordo con la Francia che ha portato alla nascita di Naviris sulle navi militari (l'esito della vicenda Stx sul civile è noto), ma ora lo sguardo va oltre, verso i sottomarini e la possibilità di intese con i leader tedeschi, come ThyssenKrupp.
stx
Insomma, sembra che l'aria sia cambiata - lo percepisce anche il mercato finanziario - ma la strada non è certo semplice. Alessandro Profumo, da cinque anni alla guida di Leonardo con ottimi risultati, spinge per la creazione di un polo di aggregazione per un gruppo di dimensioni europee dell'elettronica della difesa, ma anche per la collaborazione con Fincantieri, muovendosi in modo più coordinato, uno per l'elettronica l'altra per la parte navale.
Ma sulla fusione? «Mi sembrerebbe un uso sbagliato del tempo. Prendiamo Fincantieri: fanno navi per i settori civile e militare. Tra di loro ci sono sinergie. Mentre non mi pare che ci siano tra chi fa elettronica per la difesa e chi costruisce scafi» ha detto in una recente intervista.
Aggregazioni verticali
Leonardo m346
L'idea che spunta - e non solo nelle due aziende, ma anche nel mercato finanziario - è la possibile ricerca di «aggregazioni verticali», dove le sinergie sarebbero forti e immediatamente attivabili. Insomma, fusioni «a geometria variabile», mirate al polo nazionale della difesa, e in grado di poter andare verso aggregazione europee, con i due giganti al piano superiore, Leonardo e Fincantieri, e su tutti lo Stato e la sua golden power.
Analisti fanno notare che esperimenti verticali di grande efficacia sono già in atto: Mbda, consorzio europeo per i missili (Leonardo, Airbus e Bae System) o le due joint venture in campo spaziale sempre tra Leonardo e la francese Thales.
jet m346 di leonardo
Ma resta comunque l'interrogativo di fondo: se l'azionista-governo decidesse di andare avanti con la fusione, cosa ci si potrebbe aspettare? Ai prezzi di poco antecedenti i ribassi delle ultime sedute - si legge in un report di Equita - la combinazione porterebbe lo Stato a controllare il 36% circa del nuovo soggetto (il Mef controlla il 30% di Leonardo e il 71% di Fincantieri attraverso Cdp) e un rapporto debito/Ebitda nel range 2-2,4.
Questo riflette la diversa struttura finanziaria delle due imprese, derivante sia dal finanziamento delle operazioni - le navi civili vengono pagate alla consegna, per quelle militari c'è l'anticipo e una sorta di stato avanzamento lavori - sia i margini, che nel militare sono decisamente più alti.
fincantieri
Di fondo resta dal mondo della Borsa la valutazione che una grande diversificazione del business non paga, e che gli elementi-chiave in questo settore sono avere prodotti di punta (frutto anche di un necessario investimento massiccio nella ricerca e sviluppo) e poter contare su un portafoglio commesse forte - entrambi ce l'hanno - che permetta di operare in un'ottica di medio-lungo termine. In definitiva quello che tutti si aspettano ora, e prima di tutto, è un forte impulso di politica industriale. La finanza seguirà, come l'intendenza.