Estratto dell’articolo di Chiara Bruschi per "Il Messaggero"
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«Claire e io siamo ancora una volta disgustati da un'altra decisione unilaterale dei giudici e dell'ospedale. Il mondo intero sta guardando ed è scioccato da come siamo stati trattati. Claire ed io abbiamo sempre desiderato ciò che è nel migliore interesse di Indi. Lei ha diritti umani e volevamo che ricevesse le migliori cure possibili». Sono le parole incredule pronunciate da Dean Gregory dopo la decisione con cui tre giudici della Corte d'Appello di Londra - Lord Justice Peter Jackson, Lady Justice Eleanor King e Lord Justice Andrew Moylan - hanno rigettato la richiesta della famiglia di staccare i sostegni vitali di Indi, 8 mesi, a casa, invece che in ospedale.
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Sospendere le cure nella sua casa sarebbe «troppo pericoloso», hanno precisato dopo aver ascoltato le argomentazioni dei legali in una udienza online.
Gli avvocati della famiglia Gregory hanno invece ribadito che il giudice dell'Alta Corte Robert Peel, in prima istanza, aveva originariamente emesso un'ordinanza in cui diceva che i genitori di Indi potevano decidere se «l'estubazione» avrebbe avuto luogo a casa, in un ospedale o in un ospizio. Ma Peel, hanno precisato ieri i tre giudici, aveva poi «modificato» tale ordine. Sull'interruzione delle cure, in precedenza, i genitori di Indi non erano riusciti a convincere i giudici della Corte d'Appello e i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo, in Francia, che si erano allineati alla magistratura britannica.
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Indi, nata il 24 febbraio, ha una malattia mitocondriale, una condizione genetica incurabile e, secondo i medici, il trattamento che sta ricevendo provoca dolore e soprattutto è inutile. Un accanimento terapeutico che deve finire. Dopo una giornata di attese e dichiarazioni, i giudici hanno ordinato «la rimozione immediata del supporto vitale di Indi, ma non sono stati specificati né l'ora né il luogo», commentano i legali del Christian Concern che stanno aiutando la famiglia di Indi. Il distacco dovrebbe avvenire già oggi, hanno riferito gli avvocati, in una struttura dove verrà trasferita proprio a questo scopo. In precedenza dall'Italia Simone Pillon, che cura gli interessi dei Gregory nel nostro Paese, aveva rilasciato ancora una dichiarazione di speranza sostenendo che ci sarebbe stato tempo fino a lunedì alle 13.
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«Stiamo lavorando ad altri percorsi», aveva aggiunto l'ex senatore. Ma questa via d'uscita sembra sempre più impraticabile, nonostante le richieste dei genitori: «Perché Indi non può andare in Italia e ricevere le cure [...]», ha precisato Dean Gregory. Nella giornata di ieri, infatti, i giudici non solo hanno ribadito la loro posizione in merito alla necessità che, per il bene di Indi, le sue sofferenze devono essere fatte cessare, ma hanno anche stabilito che l'intervento italiano nel caso di Indi Gregory ai sensi della Convenzione dell'Aia è «totalmente frainteso» e «non nello spirito della convenzione» citata.
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