Tommaso Labate per il Corriere della Sera
conte salvini di maio
«Ce la dobbiamo fare. Adesso siamo andati troppo avanti per tornare indietro». Se lette con la lente del 27 settembre scorso, giorno in cui il tandem Di Maio-Salvini aveva vinto il primo braccio di ferro sulla manovra imponendo il deficit del 2,4%, le parole consegnate da Giuseppe Conte ai due vicepremier nella notte tra sabato e domenica avrebbero avuto un altro segno.
Quello della rottura con le cancellerie europee, dello strappo con Bruxelles. E invece, quando tornando da Buenos Aires il premier evoca il «troppo avanti per tornare indietro», in testa ha uno schema uguale e contrario a quello che avevano in mente i due vicepremier alla genesi della «manovra del popolo». Per Conte, ormai, è la trattativa con l' Europa ad essere «troppo avanti» per poter rifare tutto daccapo. Trattare, per l' inquilino principale di Palazzo Chigi, è diventato un mantra irrinunciabile. Forse anche di più del reddito di cittadinanza caro al M5S e della quota 100 cara alla Lega.
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
Dopo settanta e passa giorni dall' approvazione della nota di aggiornamento al Def, Conte fa un passo nella direzione dei ministri più cauti. È più «colomba» che «falco», ormai. E quello che ha in mente adesso il premier sembra sempre più coincidere con le annotazioni che ministri come Savona e Moavero hanno messo a verbale nelle ultime settimane.
L' obiettivo del Professore è evitare la procedura d' infrazione a tutti i costi. I margini ci sono, la via è strettissima ma ancora praticabile. «L' Europa ci chiederà di abbassare il deficit dal 2,4 al 2», è la previsione che Giovanni Tria consegna ai fedelissimi subito dopo i lavori del G20. All' asticella indicata dal ministro dell' Economia, adesso, anche il numero uno del governo è disposto ad arrivare.
CONTE DI MAIO SALVINI
A questo punto della storia, inizia un' altra partita. Scompaiono gli altri ministri, scompare Juncker, scompare l' Europa.
Sulla scena rimangono in tre.
Conte, Di Maio e Salvini. Il primo, che per mesi ha dato l' impressione di muoversi come una specie di notaio tra i due contraenti del contratto, ha acquisito con la trattativa internazionale degli ultimi giorni un' altra veste. Dietro le quinte, negli ultimi giorni, sembrava emergere una specie di spaccatura tra il capo politico dei M5S e il leader della Lega sulle risorse da «salvare» e su quelle «rinunciabili».
E invece, per una volta, la vulgata di Palazzo che li descrive come «d' amore e d' accordo» sembrerebbe più vera rispetto di tante altre volte. Racconta un ministro che «adesso non siamo più di fronte alla storia del Di Maio contro Salvini e viceversa. Adesso i due vicepremier stanno da una parte, e sarebbero ancora pronti a rompere con l' Europa pur di difendere le promesse fatte in campagna elettorale. Conte sta dall' altra, e vuole solo evitare lo strappo con l' Ue».
La situazione tra i tre, in un momento indefinito degli ultimi tre giorni, potrebbe essersi anche avvicinata a una specie di punto di rottura. Conte, che ha vinto il primo round imponendo la moratoria di qualche giorno su reddito di cittadinanza e pensioni, avrebbe chiesto e ottenuto dagli altri due una specie di dichiarazione di fiducia pubblica. Ed è arrivata, nero su bianco, nella nota - con tanto di ringraziamento - in cui Di Maio e Salvini ieri sera hanno definito il premier «il garante ideale della nostra interlocuzione con l' Europa». C' è scritto anche «senza rinunce», nella nota dei due vicepremier che premono sulle loro richieste. Ma anche da Palazzo Chigi fanno notare che l' unica cosa davvero irrinunciabile, nei prossimi giorni, è riuscire ad evitare la procedura d' infrazione. Il 27 settembre scorso sembra lontano, lontanissimo.
LA RESA DEI DUE VICEPREMIER
Laura Cesaretti per il Giornale
SALVINI DI MAIO CONTE
A rivederla oggi, la foto del balcone di Palazzo Chigi con Gigino Di Maio e i compari di governo che, a fine settembre, esultavano per la «manovra del popolo» e il deficit al 2,4% fa sbellicare dalle risate.
Risate amare, però: poco più di due mesi dopo, l' economia italiana è avviata alla recessione e il governo è nel caos, costretto ad una totale retromarcia e a una precipitosa corsa contro il tempo. I dioscuri Di Maio e Salvini cercano ancora di mascherare il dietrofront, e così ieri sera hanno emesso un bizzarro comunicato congiunto che, dietro i toni trionfali, concede al premier Conte - liricamente elogiato per le sue «competenze e capacità» - il mandato a trattare la resa. Ma lo avverte che, in quanto «garante del contratto di governo», non dovrà accettare «rinunce» sulle bandiere dei due partiti di governo, ossia reddito di cittadinanza e controriforma pensionistica, su cui si fonda il loro «patto con gli italiani».
Ma che sia, più che altro, un tentativo di salvare la faccia lo confermano anche da Palazzo Chigi, dove ieri si affannavano a spiegare che quel niet alle rinunce era poco più di un pro forma, e non certo un altolà a Conte cui va tutto il «sostegno» dei vicepremier nella trattativa con l' Unione europea.
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
«Con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il nostro Paese riesce sempre ad affermare le proprie posizioni e priorità, a testa alta e con determinazione», scrivono i due. Il premier, continuano, «si sta dimostrando il garante ideale per la nostra interlocuzione con l' Europa e vogliamo ringraziarlo perché porta avanti con grande determinazione lo spirito del contratto di governo spiegando in maniera encomiabile la dirompente portata delle scelte per il cambiamento». Poi il passaggio che ieri lo staff comunicativo del governo si affannava a sminuire, con l' apertura «a un dialogo franco e rispettoso con le istituzioni europee» ma «senza rinunce».
SALVINI CONTE DI MAIO
La verità è che per i due azionisti di maggioranza del governo, il premier per caso Conte è rimasto l' ultimo canale possibile col resto del mondo: bruciati Tria e Moavero, più volte delegittimati dai vicepremier, è il solo nel governo ad avere rapporti oltre il raccordo anulare di Roma e a non aver coperto di improperi interlocutori ora essenziali in Ue per evitare nuovi disastri. Salvini e Di Maio devono dunque arretrare e mandare avanti lui. Sono entrambi in difficoltà: Di Maio è indebolito, anche nel suo partito, dai disastri comunicativi e di governo inanellati e dalle imbarazzanti vicende familiari. Salvini è incalzato dalla pressione sempre più allarmata del Nord produttivo.
di maio conte salvini
Nel frattempo, la marcia trionfale della «manovra del popolo» diventa una disperata corsa contro il tempo: va approvata entro il 19 dicembre, quando si terrà la cruciale riunione Ecofin che potrebbe avviare la procedura di infrazione. Per il momento, però, il testo è nel caos e la Commissione bilancio di Montecitorio è stata paralizzata fino a ieri sera in attesa che la maggioranza riuscisse a partorire qualcosa.
Probabilmente la manovra arriverà in aula senza relatore e con un testo farlocco, che verrà votato con la fiducia tra martedì e mercoledì per poi andare in Senato. Solo lì, se ci riusciranno, verrà presentato e sottoposto a fiducia (prima a Palazzo Madama e poi di nuovo a Montecitorio) il maxi-emendamento destinato a riscrivere saldi e capitoli di spesa, inclusi probabilmente reddito di cittadinanza e quota 100, si vedrà di quanto svuotati e certamente rinviati a maggio. Ma il braccio di ferro su chi deve arretrare di più e restringere maggiormente la platea dei destinatari è in pieno corso, e resta al centro dei vertici formali e informali di governo che si susseguono notte e giorno.
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