1 - LA STRETTA SU GOOGLE E GLI ALTRI BIG: PAGHERANNO 48 MILIARDI IN PIÙ NELLA UE
C. B. per “Il Messaggero”
GIGANTI DEL WEB
Google, Amazon, Microsoft e Facebook, insieme agli altri giganti digitali, saranno costretti a più tasse di quelle versate fino a ora anche in Italia. Se l'accordo raggiunto a Londra diventerà realtà, per quanto riguarda il nostro Paese, l'esborso sarà sicuramente più alto di quei 70 milioni versati lo scorso anno ma come e quando questo accadrà è ancora tutto da scrivere. Uno studio di Bloomberg ipotizza che i colossi dovranno pagare circa 48 miliardi di tasse in più in Europa e circa 41 negli Usa.
TASSEI AI COLOSSI DEL WEB
Secondo il regime fiscale attualmente in vigore la metà dell'utile delle WebSoft (aziende di internet e software) è tassato in Paesi a fiscalità agevolata e questo permette loro di pagare pochissime tasse nel paese in cui operano, a svantaggio dei bilanci di ogni singolo stato.
Trasferire la propria sede fiscale in un paese con tassazioni vantaggiose è infatti una strategia ampiamente utilizzata dalle grandi multinazionali, soprattutto quelle del settore digitale.
TASSE A GOOGLE
Nel periodo 2014-2018 questo ha permesso a Apple di risparmiare quasi 25 miliardi di euro mentre ha fatto scalpore proprio in questi giorni quanto avvenuto in Irlanda, dove una filiale di Microsoft ha guadagnato 315 miliardi di dollari ma grazie alla sede fiscale alle Bermuda non ha pagato alcuna corporate tax sugli elevati guadagni.
MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO
Se il progetto siglato ieri a Londra verrà finalizzato, le multinazionali non potranno più trovare un paese con aliquota inferiore al 15% in cui trasferire la loro sede, come indicato nel secondo pilastro della riforma. E, non da ultimo, dovranno pagare le tasse in tutti i paesi in cui operano.
Nel primo pilastro della proposta Ocse, sottoscritta dai membri del G7, il criterio è piuttosto macchinoso: si precisa infatti che le aziende globali con margini di profitto di almeno il 10% dovranno redistribuire le loro tasse nei vari mercati (il 20% della quota di profitto superiore al 10% diventerebbe soggetto a tassazione nei paesi in cui operano).
PAOLO GENTILONI
Un sistema, come precisato dal ministro delle Finanze Daniele Franco al termine del vertice del G7 a Londra, che quando entrerà in vigore prenderà il posto delle tasse che i singoli stati stanno attualmente applicando. Nel caso italiano sostituirà la Digital-Tax che nel nostro Paese è del 3%.
Chiamata anche Web-tax, tale tassa è entrata in vigore il primo gennaio del 2020 e si applica sui ricavi dei soggetti che prestano servizi digitali con almeno 750 milioni di euro di fatturato e un ammontare dei ricavi derivanti da servizi digitali non inferiore a 5,5 milioni di euro.
mark zuckerberg nick clegg
Nel suo primo anno tuttavia ha fatto entrare nelle casse dello Stato 233 milioni di euro contro i 780 milioni che erano stati stimati, meno di un terzo di quanto lo stesso ministero si aspettava.
«Quando il nuovo sistema entrerà in vigore, e perché questo avvenga ci vorranno alcuni anni, i paesi chiuderanno la tassazione analoga che avranno in vigore» ha precisato il ministro Franco.
La nuova tassazione rappresenta una misura accolta con grande favore dal Commissario europeo all'economia Paolo Gentiloni che proprio ieri ha poi chiamato in causa «i vincitori economici di questa grande crisi», ovvero le grandi compagnie tech come Amazon e Google che hanno aumentato esponenzialmente i loro profitti durante la pandemia e che per questo «dovranno fare la loro parte per aiutare i bilanci pubblici dei vari Stati».
mark zuckerberg nick clegg
I giganti del settore tech non sono stati a guardare e Google ha detto la sua: «Auspichiamo che i Paesi continuino a lavorare per assicurare che un accordo equo sia presto stabilito», ha aggiunto José Castañeda, portavoce della multinazionale americana.
Anche Facebook ha detto la sua, pur manifestando qualche perplessità: «Vogliamo che la riforma abbia successo», ha spiegato Nick Clegg, vice presidente degli affari internazionali del colosso di Mark Zuckerberg. Sottolineando però subito dopo con tono meno ottimistico come questo «potrebbe significare pagare più tasse e in Paesi diversi».
2 - EUGENE FAMA, IL NOBEL PER L'ECONOMIA: "ALLA FINE PAGHERANNO I CLIENTI, BIDEN RISCHIA IL NO DEL CONGRESSO"
Paolo Mastrolilli per “La Stampa”
EUGENE FAMA
Fama vede due problemi, con la tassa minima globale approvata dal G7: «Il primo è legale. Il presidente degli Stati Uniti, come credo i leader di molti altri paesi coinvolti, non ha l'autorità per applicare un simile accordo. Deve passare al Congresso, e non sono sicuro che sarà così facile trovare la maggioranza per l'approvazione. Il secondo è invece economico. Questa tassa non la pagheranno le aziende, perché come sempre la scaricheranno sui clienti. Quindi sono fondamentali i dettagli dell'implementazione, per capire se può avere effetti positivi sulla crescita, o rischia di diventare una misura depressiva».
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Il premio Nobel per l'Economia di origini italiane è un punto di riferimento della scuola di Chicago, e quindi rappresenta una posizione non allineata a quella dei colleghi liberal: «La competizione fiscale è in generale una buona cosa».
Perciò bisogna vedere come cambierà: «Dopo il G7 serve l'approvazione del G20, e poi dei parlamenti. Negli Usa serve il via libera di entrambe le aule, e al Senato i democratici hanno solo un voto di vantaggio».
EUGENE FAMA
Altro è il discorso sul senso economico dell'iniziativa: «Tutto il sistema fiscale americano è confuso. Gli stessi dollari vengono sottoposti a tassazioni multiple. È difficile capire perché le imprese siano soggette a così tante misure diverse».
Dunque servirebbe una razionalizzazione: «Sarebbe necessario rivedere l'intero sistema, affinché tutti possano sapere in anticipo le tasse a cui saranno sottoposti. Soprattutto servirebbe che gli stessi dollari non fossero oggetto di più prelievi».
Il presidente Biden vuole che le multinazionali paghino di più per equità, ma anche per finanziare i suoi programmi: «Sono almeno un paio di anni che si discute come tassare le multinazionali. Non so se è necessario che paghino di più, dipende dai dettagli».
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Il rischio è deprimere l'economia, frenando gli investimenti: «Se aumenti le tasse è probabile che succeda. Ma tanto le aziende non le pagano, le trasferiscono sui consumatori aumentando i prezzi».
Biden vuole anche fermare la corsa verso il basso di alcuni europei, che offrono agevolazioni per attirare le multinazionali: «La vera domanda da porsi è questa: vuoi che le aziende paghino queste tasse, o i loro azionisti? Ora pagano entrambi, sugli stessi dollari. Bisognerebbe decidere con chiarezza quanto vuoi prelevare, e da dove. La competizione sulle tasse è buona, perché impone disciplina ai governi». Ma con la minimum global tax rischia di scomparire: «Dipende da come la fai».
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Alcuni europei si lamentano perché i colossi digitali, ad esempio, stabiliscono la sede in Irlanda, per non pagare le tasse sui soldi guadagnati in Italia, Francia o Germania: «È chiaramente un problema. Con la rivoluzione digitale è cambiata la natura stessa delle aziende, dove operano fisicamente, dove incassano, e quindi dove pagano le tasse. Finora nessuno ha trovato la soluzione. Questo è un tentativo, bisogna vedere come andrà nella pratica. Le aziende vendono prodotti ovunque in Europa, dove ci sono forti tasse sul valore aggiunto. Quindi forse non risultano nei bilanci delle imprese, ma le pagano i clienti». Da qui nascono i rischi: «Tutte le tasse hanno qualche effetto negativo».
Le spese di Biden
joe biden
Biden ha bisogno di risorse per finanziare il Rescue plan, le infrastrutture, gli aiuti alle famiglie, ma i repubblicani lo accusano di scoraggiare il lavoro e gonfiare l'inflazione: «Stiamo parlando di enormi spese statali, approvate con il margine più sottile possibile in Congresso. Non so se i sussidi servivano fin dall'inizio, ma di sicuro adesso no, perché l'economia è abbastanza forte. Le infrastrutture invece sono necessarie per modernizzare l'America, e rappresentano un investimento. Se però le fai nel modo giusto, e non cerchi di usarle per far passare un'agenda politica che includa qualsiasi cosa».