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Dieci ore di lavoro, a volte anche dodici. Pagati 3 o 4 euro all’ora. Raramente si sale fino a 6. Trasportati su carri bestiame moderni, a motore e con le ruote ma pur sempre di mezze carrette si tratta. Uomini e donne, spesso di colore perché nordafricani, o dello ShriLanka.
Sono i braccianti della Maremma addetti alla raccolta di pomodori, meloni, angurie, ma anche uva (a settembre) e olio a ottobre. Buona parte di loro lavora a nero: sono sfruttati dai cosiddetti ‘caporali’, imprenditori senza scrupoli di cui anche la provincia di Grosseto non è priva.
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Si stima siano in numero variabile tra 135 e 200, i caporali. Lo si calcola sulla base di un’altra stima, quella, appunto, relativa ai lavoratori "invisibili": secondo i sindacati sono in media 4mila a stagione, ma tra agosto e settembre possono arrivare anche a 5mila. E siccome una ‘squadra di raccolta’ mette insieme tra le 20 e le 30 persone, ecco che il conto dei ‘caporali’ torna tra le 135 e le 200 unità.
Questi numeri sono forniti dagli operatori del Sipla, il progetto nazionale che ha a capofila Communitas e Arci e che ha aperto anche a Grosseto uno sportello. Sipla sta per ‘Sistema integrato di protezione dei lavoratori in agricoltura’.
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In pratica gli operatori aiutano i braccianti a orientarsi sui loro diritti e a risolvere i problemi contingenti che il loro status comporta. Trovare un alloggio, per esempio, è uno dei più gravi perché sono in pochi coloro che vogliono affittare casa a lavoratori stagionali così precari.
E spesso chi lo fa è perché poi chiede una contropartita: magari proprio quella di lavorare nel campo a pochi spicci. Sri Lanka, Tunisia e Marocco, sono i principali Paesi di provenienza dei braccianti nella Maremma. Ci sono poi comuni come Montieri e Monterotondo Marittimo che, dagli ultimi dati Istat, hanno una forte componente straniera, superiore al 25% rispetto agli autoctoni e quasi due terzi della popolazione migrante residente proveniente dalla Macedonia del Nord.
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I cittadini del Nord Africa sono per lo più stanziali, mentre gli srilankesi e i pakistani arrivano nelle aree agricole solo nel momento dell’occupazione. I primi si spostano fra il Sud Italia e la Maremma, i secondi hanno una mobilità che li porta a tornare nel Paese di origine una volta terminata l’occupazione.
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E non c’è soltanto il ‘lavoro nero’ in provincia di Grosseto. Ma anche quello ‘grigio’: ovvero un rapporto non del tutto regolare che vede la presenza di un contratto e di una busta paga in cui, però, compaiono solo poche giornate rispetto a quelle realmente lavorate. Oppure capita che le giornate lavorate siano segnate tutte, ma che il datore di lavoro obblighi il bracciante a rifondere in nero parte di quanto percepito, pena non essere più chiamato al lavoro.
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