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    1. SICURI CHE ESISTA ANCORA LA SVIZZERA? DOPO BLATTER, E’ SOLO IL 51° STATO AMERICANO 2. LA RETATA FBI A ZURIGO HA DIMOSTRATO IN MONDOVISIONE LA FINE DELLA SOVRANITA' SVIZZERA 3. PER UN TOP MANAGER INTERNAZIONALE CON QUALCHE PROBLEMA DI MAZZETTE DORMIRE IN UN ALBERGO A SEI STELLE A ZURIGO È PERICOLOSO COME TRANSITARE PER UN AEROPORTO STATUNITENSE


     
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    sepp blatter jack warner sepp blatter jack warner

    DAGOANALISI

     

    Un lenzuolo bianco può dire tante cose. Un lenzuolo lo hanno steso tra la porta del Baur au lac Hotel di Zurigo e la macchina della polizia svizzera, che due settimane fa ha eseguito senza batter ciglio sette arresti per conto della giustizia Usa. Un modo per tutelare la privacy e la dignità dei manager della Fifa finiti in manette, perché la Svizzera è ancora un paese con una notevole civiltà giuridica. Ma quel drappo bianco è anche il simbolo, forse, di una resa. La resa di una piccola nazione che non protegge più dalla giustizia straniera gli uomini di denari e neanche i denari stessi.

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    Sono passati solo sei anni da quando la giustizia elvetica diede uno schiaffo a quella statunitense sul caso di Roman Polanski. Il regista francese, accusato di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne in California nel 1977, venne arrestato a settembre del 2009 su mandato americano. Ma la richiesta di estradizione fu sonoramente bocciata per un vizio di forma e Polanski se la cavò con il pagamento di una ricca cauzione e nove mesi di arresti domiciliari. Sei anni che adesso, dopo la retata del 27 maggio su commissione dell’Fbi, sembrano una vita fa.

    GIUBILO MONTEZEMOLO BLATTER FOTO DI MARCELLINO RADOGNA 1988 GIUBILO MONTEZEMOLO BLATTER FOTO DI MARCELLINO RADOGNA 1988

     

    Negli ultimi cinque anni, centinaia di banchieri svizzeri, ma anche semplici funzionari addetti alla gestione di conti corrente di cittadini statunitensi, hanno vissuto con un grande terrore: essere arrestati su mandato del Dipartimento di Giustizia Usa per concorso in frode fiscale. Le banche sconsigliavano le vacanze dei loro dipendenti negli Stati Uniti, ma anche in altri Paesi con trattati di estradizione rapidi ed efficienti con Washington, come il Regno Unito. O la Francia. Un semplice viaggio a Eurodisney, per molti bancari svizzeri, è stato per anni più pericoloso di un tour nello Yemen.

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    Uno dei top manager di Ubs, Raoul Weil, fu addirittura arrestato due anni fa a un convegno a Bologna, su ordine della polizia della Florida che lo accusava di aver truffato al Fisco Usa 20 miliardi. Weil è stato poi assolto da tutte le accuse, ma ancora oggi le principali banche svizzere fronteggiano varie inchieste americane e 106 istituti elvetici stanno trattando l’uscita dall’incubo con multe miliardarie.

     

    Dopo sei anni di guerra totale da Washington, nell’aprile del 2014 Berna si è piegata e ha firmato un accordo di collaborazione fiscale che mette i cittadini Usa con conto in Svizzera nelle mani del fisco di provenienza (la sola Ubs aveva 17mila conti di cittadini americani).

     

    In questi ultimi cinque anni le principali organizzazioni internazionali hanno stretto d’assedio il segreto bancario svizzero e la Confederazione ha dovuto firmare accordi sullo scambio automatico di dati dei correntisti con l’Unione europea, con la Germania, con la Francia, con l’Italia, con l’Australia e persino con la Gran Bretagna, che pure ha come capitale Londra, ovvero uno dei più efficienti paradisi fiscali del pianeta.

     

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    Un vecchio proverbio elvetico dice che “senza soldi non ci sono gli svizzeri”. E i soldi, per fortuna degli svizzeri, ci sono ancora. E tanti. Secondo gli ultimi dati dell’Associazione bancaria locale, gli attivi gestiti nel Paese sono pari a 5.800 miliardi di euro e il 51,3% proviene dall’estero. Solo i miliardi italiani si aggirano sui 160-180. La Svizzera controlla il 26% del mercato mondiale della gestione patrimoniale e oltre 105mila svizzeri (su 8 milioni e mezzo di abitanti) lavorano in istituti di credito.

     

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    Nell’ultimo anno, però, dai forzieri della Confederazione è uscito verso l’estero il 7% dei fondi gestiti, segno che l’assedio al segreto bancario produce i suoi effetti.  Il sistema bancario svizzero si è difeso trasferendo centinaia di dipendenti e di filiali a Hong Kong e Singapore, per offrire alla sua clientela europea un ricovero in centri offshore più protetti, ma mantenendo la gestione altamente professionale tipica delle banche elvetiche. Ma non basta, perché anche quelle due piazze del Far East stanno facendo importanti concessioni all’Ocse sulla trasparenza. Gli svizzeri non sanno più dove andare. Di certo non possono proporre alla loro rinomata clientela di spostare i soldi in Tunisia, centro offshore blindato ma con un rischio-paese elevatissimo.

     

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    In realtà la sfida della Svizzera è un’altra: rimanere una delle principali piazze finanziarie del mondo anche impegnandosi a verificare l’onestà fiscale dei propri clienti. Nel frattempo, però, il mito è crollato. Avere i soldi in Svizzera non è più sinonimo di sicurezza e riservatezza assoluta. E la retata Fifa ha dimostrato in mondovisione che per un top manager internazionale con qualche problema di mazzette dormire in un albergo a sei stelle a Zurigo è pericoloso come transitare per un aeroporto statunitense. Secoli di ospitalità della Svizzera a tutti i perseguitati d’Europa sono un ricordo, un concetto filosofico.

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    Non sono al sicuro i soldi. Non è al sicuro la libertà personale. Sicuri che esista ancora la Svizzera? 

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