Giancarla Ghisi e Letizia Rittatore per il corriere.it
James Dyson
È il secondo uomo più ricco del Regno Unito con un patrimonio netto di 8.400 miliardi di dollari (il primo è Len Blavatnik, il fondatore di Dazn), si dice che possieda 25mila acri di terreni agricoli, 5mila più della regina Elisabetta. Eppure, la vita di Sir James Dyson, 75 anni, il creatore dell’aspirapolvere senza sacchetto, non è stata rose e fiori. Piuttosto, lastricata da insidie, sfide temerarie e peripezie imprenditoriali.
Tutte raccontate in "Invention. La mia storia" (Rizzoli, in libreria il 19 aprile), memoir con tanto di foto della famiglia, delle sue imprese sportive giovanili, delle tante invenzioni. «Pensare che avrei voluto intitolare il libro James Dyson: il fallimento. Ho cambiato idea perché avrebbe dato un’impressione sbagliata», esordisce il magnate inglese nel suo headquarter a Malmesbury, a 100 chilometri da Londra, dove vengono sviluppati progetti di motori, software, elettronica, energy storage e robotica. Un modo per dirci che il successo internazionale e l’originalità dei suoi prodotti sono il risultato di inventiva e tenacia. Caratteristiche che dimostra già da ragazzo.
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La forza di Deirdre, la moglie calma
Nato a Cromer, Norfolk, figlio di due insegnanti, orfano di padre a 8 anni, deve rimboccarsi presto le maniche e durante le vacanze accetta lavori, come caricare sacchi di patate sui camion. Eccelle in molti sport, spiega, «non perché sia molto dotato», ma perché ha molta determinazione.
Alla Byam Shaw School of Art conosce Deirdre Hindmarsh, futura moglie e compagna per tutta la vita. Anche se, durante la fase di corteggiamento - scrive lei nel libro - si sente un po’ disorientata: «Tra noi non c’erano vibrazioni romantiche, ma amavamo chiacchierare. Fu un profondo shock quando James iniziò a tenermi la mano. “Non posso ritirarla, altrimenti potrei offenderlo” pensai».
Ma l’entusiasmo è contagioso. E il matrimonio che avviene nel 1968, prima ancora di avere portato a termine gli studi universitari, è una vincita al lotto per James. Deirdre è calma, composta e non si perde d’animo di fronte alla perenne mancanza di soldi. E l’arrivo di Emily (1971), Jake (1973) e Sam (1980) non aiuta.
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Per risparmiare cuce i vestiti per sé e per i figli e coltiva le verdure nell’orto. Entrambi lavorano part-time, lei studia pittura, James frequenta il Royal College of Art (RCA) dove comincia a interessarsi al legame tra ingegneria e design. Un’esperienza alla Rotork Controls gli permette di partecipare alla progettazione di un mezzo da sbarco anfibio, il Sea Truck.
La prima invenzione di Dyson nel 1974 è la Ballbarrow una carriola con una palla al posto della ruota che la rende più manovrabile. Cinque anni dopo inizia la leggenda Dyson. James nota che l’aspirapolvere di casa, nonostante il cambio del sacchetto, è rumoroso e ha poca aspirazione. Osservando il gigantesco ciclone metallico che raccoglie la polvere per separarla dal flusso d’aria all’interno della sua azienda, ha un’idea: perché non crearne uno micro ed eliminare il sacchetto? La proposta di produrlo non piace ai soci che lo costringono a dimettersi, facendogli perdere il brevetto della carriola.
Deirdre Dyson con i due primi figli
Questa esperienza lo sprona a dedicarsi al progetto, che si materializza dopo continui rifiuti da parte di banche, produttori, rivenditori e tentativi di furti del brevetto. Si chiude nella rimessa di carrozze accanto a casa e per cinque anni realizza 5.127 prototipi del suo aspirapolvere. Dyson inizialmente lo concede in licenza a un’azienda americana e una versione rivisitata viene venduta in Giappone. Arrivano i primi soldi per finanziare il sogno.
Nel ‘93 il primo Dyson DC01 è lanciato in Gran Bretagna con lo slogan «Di’ addio al sacchetto». Nel tempo vengono creati modelli sempre più avanzati senza filo, fino al recente robot aspirapolvere Dyson 360 Heurist. Dal centro ricerche dello stabilimento del Wiltshire escono altri successi: nel 2006 Dyson Airblade, un asciugamani veloce, nel 2016 Dyson Supersonic, un asciugacapelli silenzioso e il purificatore d’aria Airmultiplier.
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Oggi Dyson è una global research and technology company con 13mila dipendenti in tutto il mondo, compreso un team di 5mila ingegneri in 84 Paesi. Ma l’impegno di Dyson si sta concentrando su come «rimediare alla grave carenza di laureati in ingegneria che minaccia la scienza, la tecnologia e il settore della progettazione», scrive. Nascono una fondazione che finanzia progetti di ricerca in varie università britanniche e il Dyson Institute of Engineering and Technology, con due campus tecnologici, a Malmesbury e Hullavington, dove gli aspiranti ingegneri, mentre frequentano il master di quattro anni, imparano, lavorano e vengono stipendiati. Dei figli Dyson, l’unico a essere entrato in azienda è Jake, un lighting designer, Emily è stilista e Sam è musicista e produttore.
Dyson Campus
Mr Dyson, ha fatto la sua «rivoluzione» in una rimessa per carrozze, come Steve Jobs nel garage, che differenza c’è fra voi?
«Non l’ho conosciuto personalmente, quindi non saprei. Posso solo dire che è facile buttarsi su oggetti che piacciono. Invece tutti odiano l’aspirapolvere. Ero attratto proprio da ciò».
È un patito delle pulizie?
«Non proprio, ho sempre usato l’aspirapolvere, anche da bambino, ora meno ovviamente. Non conoscevo la tecnologia all’epoca, ma per me rappresentava una sfida. Devi avere fede, sebbene nel percorso creativo gli errori siano una costante. Non tutte le Ferrari vengono bene».
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Merito dei suoi studi d’arte se il design dei prodotti Dyson è elegante e divertente?
«Cinque anni di studio al Royal College of Art negli Anni 60 a Londra mi hanno molto influenzato. Sono stato fortunato. Era l’unico istituto di design all’epoca, gli altri sono nati molto dopo».
Come capire se è il caso di continuare un progetto o gettare la spugna?
«A volte un prodotto può non essere commerciale. Certo nessuno ama fallire, ma devi prendere decisioni pragmatiche. Un esempio: la nostra auto elettrica N526, progetto abbandonato perché troppo costoso. Per fortuna abbiamo assorbito i cinquecento milioni di sterline spesi. In compenso abbiamo imparato molto sulle batterie, sulla robotica, sul trattamento dell’aria e sull’illuminazione».
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Nella sua vita professionale ha avuto tanti rifiuti, qual è stata la molla per continuare?
«Forse la rabbia, perché non credevano in me, non erano interessati ai miglioramenti, invece avrebbero dovuto essere entusiasti. Ecco, il mio pensiero era: dimostrerò che ho ragione io».
La regina Elisabetta è stata ritratta seduta in salotto con accanto il vostro purificatore d’aria, un episodio di Friends rivela l’ossessione di Monica per l’aspirapolvere Dyson. Ha mai pensato di usare celebrity o influencer?
«No, perché vogliamo che la gente compri i nostri prodotti per quelli che sono, non perché qualcuno li promuove. Ma è stato bello sapere che Karl Lagerfeld non appena sentì parlare dell’asciugacapelli Dyson Supersonic, se ne procurò uno per l’adorata gatta Choupette».
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Riesce a delegare?
«Ho fatto l’amministratore delegato per una decina d’anni, adesso a capo di tutto c’è un Ceo, così io non mi concentro più sulla gestione quotidiana, ma sulle invenzioni future».
Come riuscite a rimanere un’azienda familiare?
«È solo un caso, perché nessuno voleva investirci. Uno dei vantaggi di essere un’azienda di famiglia è che non siamo soggetti ai capricci del mercato azionario».
In casa ha mobili realizzati da lei?
«Costruire cose era una parte molto piacevole della nostra vita di famiglia, oltre a essere necessaria perché altrimenti non ce le saremmo potute permettere. Mia moglie Deirdre, che continua a dipingere, fa tappeti, Jake ha ideato una slitta, Sam un tavolo da stiro che si piegava facilmente, Emily un trampolino a molla per la piscina che avevo fatto in giardino. Poi ho disegnato tutti i tavoli, persino uno enorme di alluminio, pesantissimo, per cui ho dovuto rinforzare il pavimento».
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Possiede fattorie in molte zone dell’Inghilterra. Rivoluzionerà anche questo settore?
«Cerco di usare la tecnologia per fare un’agricoltura senza fertilizzanti e più ecologica. Ma vogliamo andare più lontani. Credo sia importante per il nostro Paese essere autosufficienti per motivi di fornitura e costi di trasporto. Sono cresciuto in campagna con gli agricoltori e ho sempre voluto esserlo, ma non si fanno soldi e i supermercati dettano i prezzi. Stiamo cercando di capire come cambiare il modello commerciale. Vogliamo rendere profittevole l’agricoltura».
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Scrive di essere molto contento della Brexit...
«Meglio risolvere i problemi da noi. La Gran Bretagna ha già firmato 63 accordi di libero scambio in tutto il pianeta, mettendosi in una posizione commerciale molto migliore di quella degli Stati membri dell’Ue. Insomma, abbiamo l’opportunità di crescere».
Disponibilità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sempre a rischio di burnout. Fa qualche attività sportiva o di rilassamento?
«Se hai un’azienda non puoi mai fermarti, ci pensi sempre. Purtroppo ho dovuto abbandonare il tennis, per dolori alla schiena, ma corro e cammino, faccio vela. Ho una barca con cui giro nel Mediterraneo. E poi mi rilasso nella mia casa in Provenza, dove dal 2006 produco vino e olio d’oliva».
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