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    “SO DOV’ERANO PIAZZATE TUTTE LE TELECAMERE DI CAMPOBELLO” – MATTEO MESSINA DENARO AVEVA UN RETE DI AMICI CHE GLI HA PERMESSO DI NON ESSERE PRESO PER 30 ANNI. NON HA ALCUNA INTENZIONE DI FARE NOMI, MA INTANTO RIVELA: “HO L’AGGEGGIO CHE CERCAVA LE TELECAMERE E POI LE RICONOSCO. E POI C’ERA UN INDIZIO: OGNI VOLTA CHE LE MONTAVANO, AGLI ANGOLI DELLA STRADA C’ERA SEMPRE IL MARESCIALLO DEI ROS…”


     
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    Estratto dell'articolo di Lara Sirignano per il "Corriere della Sera"

     

    MATTEO MESSINA DENARO MATTEO MESSINA DENARO

    Studiava le mosse degli investigatori che gli davano la caccia, ne conosceva i nomi e i volti. E sapeva come schivare le loro mosse. Beffardo, compiaciuto di sé, Matteo Messina Denaro racconta ai magistrati che lo interrogano per la prima volta dal suo arresto come per mesi sia riuscito a intercettare i movimenti dei carabinieri e, addirittura, a mappare le videocamere piazzate dal Ros nel paese d’origine del capomafia, Castelvetrano, e a Campobello di Mazara, il piccolo centro in cui il padrino, come sospettavano gli inquirenti, poteva contare su una fitta rete di favoreggiatori, rivelatosi, poi, il suo ultimo rifugio da latitante.

    laura bonafede matteo messina denaro laura bonafede matteo messina denaro

     

    […] «Su di me sono 30 anni che travisano», dice. Poi la rivelazione: «Tutte le telecamere di Campobello e Castelvetrano le so, primo perché ho l’aggeggio che le cercava, che non l’avete trovato; e poi perché le riconosco». A quel punto i pm, che da mesi cercano il covo mai scoperto, quello in cui sarebbe nascosto il vero tesoro di Matteo Messina Denaro (soldi, ma soprattutto documenti, contabilità e tracce degli affari fatti per anni) gli chiedono dove fosse l’apparecchio usato per intercettarle. Lui, come su tutti gli argomenti che possono raccontare davvero la sua latitanza, resta vago.

    matteo messina denaro con montone matteo messina denaro con montone

     

    «Non a Campobello, (il paese in cui è stata scoperta la sua ultima abitazione ndr ), non era in quella casa», bofonchia. Poi, come a voler ostentare la sua abilità, rivela: «molte di queste telecamere, quando le piazzavano, perché all’inizio, quando iniziarono, erano tutte di notte, poi anche di giorno, c’era un segnale, il maresciallo dei Ros c’era sempre lui. Appena si vedeva lui con due o tre fermi in un angolo, già stavano mettendo una telecamera». Insomma il controllo del territorio era totale. E al capomafia, grazie alle soffiate di amici di cui si rifiuta di fare il nome, non sfuggivano presenze e movimenti anomali. […]

     

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    A domanda ammette di non essere stato sempre a Campobello. Parla di periodi di latitanza trascorsi a Palermo, ma nega di aver mai avuto un computer e su documenti e carte ancora da scoprire dice, candido, «se ce le avessi non le darei mai, non è nella mia mentalità».

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