Flavio Vanetti per corriere.it - Estratti
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Franco Carraro, 84 anni, Grande Vecchio dello sport italiano («Vecchio di sicuro, grande non lo so…» si schermisce), segue una massima: «Non dico bugie, però certe volte la verità va taciuta. Altrimenti sei un kamikaze». Così, per chiarire. E per introdurre una chiacchierata a tutto tondo.
C’è qualcosa che lei non ha presieduto?
«Io so solo fare il presidente: ho cominciato a 22 anni, eletto al vertice dello sci nautico. È stato il mio sport, sono stato campione europeo. A volte mi danno del manager, ma se da un lato so decidere una strategia, dall’altro non so gestire. Non l’ho mai fatto e nemmeno mi immischio nei risvolti di una gestione».
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Rimane il più giovane presidente ad aver vinto la Coppa dei Campioni di calcio, oggi Champions League: 29 anni e 143 giorni quando trionfò con il Milan.
«Il merito è di Nereo Rocco, l’allenatore, di Bruno Passalacqua, il g.m., e di una squadra nella quale i giovani si amalgamarono con i veterani. Chiesi a Gino Palumbo di intervistarmi sul Corriere della Sera per spiegare appunto queste cose».
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Che cosa è il potere?
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«Il potere si manifesta quando le decisioni influenzano: le poltrone, che sono un’altra cosa, non c’entrano. Sono uomo di potere? Non credo, anche se ho preso decisioni che hanno inciso. Ma non ho mai contato molto e mi considero una persona per bene. Nessuno ha cercato di tentarmi. Una volta eletto senatore, mi proposero la massoneria. Risposi: “Adesso, a 73 anni?...”».
Le hanno dato del «poltronissimo»: la disturba?
«Assolutamente no».
Quale soprannome l’ha maggiormente contrariata?
«Mi ha fatto ridere quel giornalista che ha detto che ho avuto più potere di Fidel Castro. Fesseria: Castro ha tenuto testa agli Usa, è sopravvissuto al comunismo ed è entrato nella storia».
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È stato nel Psi, nel Popolo della Libertà e in Forza Italia: ma lei è di destra o di sinistra?
«Io sono socialista. Leggevo Indro Montanelli, rimasi colpito dai reportage dall’Ungheria invasa dai sovietici: spiegava che non era vero che i ragazzi ungheresi erano contro il socialismo e il comunismo, semmai si sentivano traditi negli ideali. Da lì diventai socialista, avendo comunque già quell’idea e rifiutando la superiorità che i comunisti credevano di avere sugli altri».
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Da ex sindaco dell’Urbe: Roma è ingestibile?
«È una città complicata, con 2.777 anni di storia. Non ha avuto, come Parigi, un Georges Haussmann che sventra e rifà tutto. E l’errore più grave è stato non usare l’Eur per gli uffici. Ma l’Eur, si sa, era un’invenzione fascista… Infine, ritengo la borghesia romana meno illuminata di quella milanese».
La band romana Banda Bassotti: «Che bravo sindaco! Quanta civiltà, con i manganelli amministra la città».
«Ero sindaco grazie all’accordo Craxi-Andreotti-Forlani, era logico che me ne dicessero di tutti i colori. Ma avevo il rispetto dell’opposizione, sia di destra sia di sinistra: nel 1991 approvammo i progetti di Roma Capitale, tra cui l’Auditorium e altre opere realizzate poi da Rutelli per il Giubileo del 2000».
Le dimissioni dalla Figc nel 2006 e lo scandalo del calcio.
«Mi hanno prosciolto, con la motivazione “si è comportato in modo istituzionalmente corretto”. La giustizia sportiva non ha avuto il coraggio di farlo, sono dovuto arrivare fino al Tar. Ad ogni modo, nella vita sportiva ho scelto di avere solo cariche non retribuite, con l’eccezione della presidenza del Coni».
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Lo sport italiano come sta?
«Come dice Sergio Mattarella, magari tutti i settori del Paese andassero come va lo sport…».
È stato ministro del Turismo: che cosa serve all’Italia?
«Bisogna avere strutture che funzionano e idee. Come Milano, diventata città turistica sfruttando il crollo della lira nel 1992 e potenziando il quadrilatero della moda: in poche centinaia di metri ci sono i più bei negozi del mondo».
Ha governato il Coni dopo Giulio Onesti: lo sport italiano gli deve davvero tutto?
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«Di più. Ha fatto nello sport quanto fatto da Mattei con l’Agip. L’ha depurato dalla matrice fascista, ha intuito il suo valore sociale e ha rovesciato la piramide: ora è la base che sceglie il vertice. Grazie a lui l’Italia, pochi anni dopo aver perso la guerra, ha ospitato i Giochi invernali e quelli estivi.
Infine, il Totocalcio. Una genialata, convincendo Luigi Einaudi, ministro delle Finanze che voleva trattenere tutto il ricavato per poi ridistribuire, a lasciare al Coni il grosso degli introiti. Gli disse: “Lei si fiderebbe dello Stato?”. Einaudi sorrise: “Va bene, andiamo avanti così”. E il Coni poté autofinanziarsi».
I presidenti dopo di lei: Gattai, Pescante, Petrucci, Malagò.
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«Gattai non è stato all’altezza, non ha capito il Coni. Ma sono colpevole pure io: avevo un pregiudizio su Nebiolo e favorii Arrigo. Pescante è eccellente e ama la dimensione internazionale dello sport: la passione però comporta anche un tot di emotività che è meglio non avere. Petrucci: grande dirigente. Malagò: avrà dei difetti, ma il suo affetto per gli atleti è unico».
Quale presidente per il futuro?
«Non ho un nome. Nel 2026 ospiteremo i Giochi invernali di Milano-Cortina e quelli del Mediterraneo a Taranto, importanti per il governo a causa del Piano Mattei. Spero che, rispetto a una riforma che preclude a Malagò un altro rinnovo, ci sia una deroga: si rischia di rompere un equilibrio».
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Il ministro Giorgetti ha voluto Sport e Salute.
«È il braccio operativo del governo: è cambiato tutto, prendiamone atto».
Silvio Berlusconi: svolgimento libero.
«Mi offrì di fare il senatore e l’ho fatto volentieri. Ma ho accettato quando ero in pensione: in politica, essere senatore conta relativamente poco. Non è vero che voleva comperare l’Inter. Semmai aveva già una mezza idea sul Milan: ci confrontammo quando io mollai, ma non trovammo l’accordo».
È nel Cio dal 1982. Chi succederà a Thomas Bach?
«Non posso sbilanciarmi, sono troppo amico di uno dei pretendenti, Juan Antonio Samaranch junior. Temo però che Bach abbia in mente un certo candidato...».
Rimane milanista?
«Si dice che si può cambiare tutto. Ma io cambio poco in tutto: sono pure sposato da 49 anni…»
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